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1.3.1. Il filo rosa

La comprensione del mondo e della natura richiede la tessitura di una teoria capace di connettere gli eventi in una serie di cause ed effetti, di una rete che leghi gli avvenimenti in modo tale da renderne comprensibili le relazioni, sottraendo così l’immensità e la varietà dei fatti alla dispersione del caso e degli accidenti. Senza questa teoria, questo filo rosso che connetta, ci si trova di fronte al caos ed alla impossibilità di capire alcunché. Quella Grande Narrazione è dunque un racconto che mira a dare spiegazione di tutti i fatti che sono accaduti e che accadono nel mondo attraverso l’individuazione di un legame, di un filo rosa che li unisce e li collega ad un ‘Tutto’ che è al tempo stesso la causa e il contesto di ogni evento grande o piccolo, collettivo o individuale. Ogni cosa che accade non sta là isolata, separata dal suo contesto né è emersa per caso dal nulla ma appartiene ad una grande rete che tutto unifica, ogni fatto va inteso cioè come il frutto di quella grande pianta che porta il nome di ‘società patriarcale’. Ne sono sinonimi la ‘cultura maschilista’, la ‘cultura del dominio’ e i suoi correlati: logica del potere, machismo, misoginia, ideologia della sopraffazione e così via. Ogni fatto va dunque ricondotto a quella cultura e a quella società, ai suoi princìpi, espliciti o impliciti, ai suoi “valori”. In questo quadro il singolo atto di violenza antifemminile va bensì imputato all’individuo che lo ha perpetrato, ma va inteso soprattutto come materializzazione di un principio, l’attualizzazione pratica di un sistema di valori che non solo lo giustificano ma anzi lo creano, il frutto di una pianta ed è perché si riconosce l’esistenza di quella che si può pensare di eliminarne i frutti. Se ogni atto di violenza fosse un caso a sé stante non vi si potrebbe porre rimedio ma se è l’effetto di una sola causa, allora, rimossa questa, anche gli effetti scompariranno. 

Ogni singola violenza è allora il sintomo di una malattia morale, ogni stupro particolare l’emblema della “Cultura dello stupro”, ramo da cui quei delitti derivano, come la “Cultura della donna oggetto” ne rappresenta un altro, quello da cui nascono le molestie e l’utilizzo strumentale dell’immagine del corpo femminile. L’aver ricondotto tanto le dinamiche storiche, i Grandi Eventi, quanto i momenti della biografia individuale ad una pianta gigantesca ed ai suoi rami è la grande opera svolta dal femminismo, il quale, sulla falsariga del marxismo, ha reso unitari tutti i fatti umani e ne ha dato una spiegazione sul piano storico universale. Questa riconduzione non è altro che l’individuazione di quella malapianta che sin qui nessuno nella storia aveva visto e la cui esistenza i maschi tenevano nascosta alle femmine come a se stessi. 

Prima ancora di individuare i caratteri di questa narrazione e di esaminarne i contenuti emerge un parallelo tra essa e il marxismo, rami uscenti entrambi dal tronco della Civiltà occidentale. Come quello si proponeva la soluzione di tutti i problemi dell’umanità, di tutte le ingiustizie, i soprusi e quindi dei dolori e delle sofferenze, l’abolizione di ogni schiavitù, di tutti i mali pubblici e privati, materiali e morali, la fine delle guerre e la pace universale, la scomparsa dell’odio ed il trionfo dell’amore, la fine dell’egoismo e l’era della solidarietà, l’abolizione di ogni forma di sfruttamento e di alienazione, la fine della paura, la soluzione di ogni problema economico, politico, sociale, civile, il ristabilimento dell’ordine naturale e cioè della condizione di eguaglianza e di libertà per tutti, così il femminismo si propone, con la stessa presunzione e lo stesso candore come la radicale e definitiva soluzione ad ogni problema umano. Come il marxismo individuò nel proletariato l’erede della storia, così ora il femminismo rinviene nel genere femminile il nuovo depositario del giusto e del vero. Come il primo vide nella borghesia la classe nemica da eliminare così il femminismo vede nel genere maschile, in quanto creatore e portatore della cultura del dominio, il Genere da rieducare, trasformare, convertire. Come il primo anche il secondo fonda le sue ragioni sull’innocenza storica di quella partizione sociale che rappresenta, giudica il passato ed il presente e disegna il dover-essere del futuro. Giudica e non ammette di essere giudicato. Come per il primo la storia era storia dei conflitti di classe così per il secondo essa è storia della guerra non dichiarata degli uomini contro le donne. 

Esaminiamo ora i contenuti ed i caratteri di questa epopea, la Grande Narrazione Femminista, nel seguito indicata semplicemente con ‘GNF’. La storia dell’umanità è per il femminismo la storia dell’oppressione maschile, storia della misoginia, della volontà annichilatrice degli uomini, storia del dominio, dello sfruttamento, dell’umiliazione, dell’oltraggio e dello stupro, storia insomma dell’ “...universale usurpazione maschile”.8 Tutte le istituzioni sociali e tutte le creazioni dello spirito, tutta la cultura e la morale, tutte le religioni, i miti e i costumi, tutta l’economia e tutta la vita collettiva, familiare ed individuale della quasi totalità dei popoli, e in particolare quella occidentale, sono direttamente o indirettamente creazioni pensate e foggiate dai maschi in funzione dei loro interessi di Genere a detrimento delle donne e, con esse, dei deboli e degli innocenti. Una Civiltà è alla fin fine un tutto unico le cui pur svariate sfaccettature mostrano inevitabilmente i segni diretti o indiretti della sua forma generale e su ogni sua parte è impresso il timbro dei suoi valori, essa va intesa cioè come una ‘tuttalità’ unitaria della quale ogni elemento porta l’impronta. Poiché l’andamento della storia dipende da chi ha il potere, inteso secondo l’interpretazione tradizionale, spada, borsa, libro e poltrona, tutto ciò che è accaduto è da imputarsi agli uomini che hanno avuto ed in gran parte hanno tuttora in mano quelle leve. Non solo tutti gli eventi materiali, diciamo così visibili, ma anche le condizioni psicologiche, le forme dell’esperienza individuale, i sentimenti, il mondo dell’immaginario e tutto l’universo del possibile sono stati e sono contaminati da quel sistema di potere maschile che va sotto il nome di “Cultura del dominio”. Cultura di cui ogni cosa ha patito la contaminazione tanto più profondamente quando si consideri che quello stato di cose non è durato alcuni decenni o qualche secolo, ma millenni, e, se non prima, almeno dal momento in cui la cultura politeistica originaria del mediterraneo venne sostituita dal Dio maschile condottovi, come si vedrà, dai Kurgan delle steppe caspiche a rovina della società lunare di impronta matriarcale. 

Tutta la storia è dunque storia di esclusione delle donne dalla vita politica, economica e culturale, di subordinazione morale, di dipendenza, di intimidazione, di soggezione, di sfruttamento fisico, sessuale, emotivo. E’ anche storia di oltraggio e disprezzo per tutto ciò che è femminile, manifestato sia direttamente sia indirettamente, non solo attraverso le leggi ed i costumi che imponevano limiti al comportamento femminile ed esclusioni dalla vita pubblica, ma anche da quelle rarissime che talvolta, sotto il mantello della protezione del debole, esprimevano il disprezzo maschile verso le donne e la negazione di ogni loro capacità di autodeterminazione. L’era della schiavitù femminile.

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