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3.2c.7 Ai confini della realtà

Anche l’ordinamento italiano, al pari di ogni ordinamento civile, prevede che la presenza della malafede, dei raggiri e dell’inganno, quando non costituiscano reato, rendano nullii i contratti ed è ancor più attento e severo nel tutelare la libertà della volontà in quegli atti personalissimi che risultano nella modifica dello stato civile. La frode è punita e la malafede vanificata, principio minimo di ogni civiltà, sennonché, caso unico e stupefacente, esse sono premiate quando vi è di mezzo la volontà maschile sulla questione riproduttiva. Come tutti sanno, infatti, il modo in cui una donna rimane incinta è totalmente irrilevante ai fini dell’imposizione della paternità, sia accaduto per scelta comune, per errore o per deliberato inganno teso da lei, il risultato non cambia, in Italia come in tutto l’Occidente. Così in Gran Bretagna una donna ha estratto il liquido seminale dal preservativo e si è autoinseminata, restando incinta. Al processo ha candidamente confessato il fatto e nondimeno al padre è stata assegnata la paternità. Un famoso tennista tedesco viene chiamato in tribunale da una madre. Nega di avere mai fatto sesso con lei, poi si corregge e dice “Si è trattato solo di sesso orale”. La donna avrebbe sputato il liquido in apposite ampolle precondizionate con le quali si sarebbe recata in clinica a concludere l’operazione e al padre non restò che aprire il portafogli.ii In Svezia un uomo dà il suo seme ad una coppia di lesbiche che così diventano madri. Quanto queste si separano lui viene chiamato in causa e gli viene attribuito l’onere del mantenimento. 
 
Il potere arbitrario di decidere della vita degli uomini viene mascherato dal fatto che la gravidanza pesa sulla donna, ma si vede bene che si tratta di un alibi. Negli Usa un embrione viene congelato ma giunge poi il momento di decidere che farne, se affittare un utero o sopprimerlo, mentre nel frattempo i due si sono lasciati. Si è indotti a credere che almeno in questo caso sia riconosciuto al padre il diritto di scegliere dal momento che la madre non sopporta il peso della gravidanza e che sono entrambi esattamente nella stessa posizione ed invece la scelta compete ancora a lei. A sua discrezione viene soppresso o reimpiantato (in un’altra) e la paternità imposta qui come in ogni altro caso. Scrive Warren Farrell “Ogni volta che un uomo ha inserito il pene in una vagina, con ciò stesso non è più padrone della sua vita”,iii ma, come si vede, il coito non è necessario affinché un uomo perda per sempre le redini del suo destino, perciò la sua affermazione va aggiornata e corretta: “Ogni volta che un uomo eiacula in presenza di una donna perde il controllo della propria vita”. 
 
Lo slogan “l’utero è mio e me lo gestisco io” ha nascosto, sin qui in modo perfetto, il fatto che insieme all’utero viene gestita l’intera vita del maschio, perché se si diventa padri lo si diventa per sempre. Accade raramente, ma talvolta accade, che un padre in fieri si opponga al preannunciato aborto e chieda che la gravidanza sia portata a termine assumendosi in toto ogni responsabilità ed ogni onere rispetto al figlio. Si tratta in genere di uomini che scoprono di essere privi di diritti solo nel momento in cui vengono coinvolti personalmente e di ciò restano sorpresi ed increduli ma quella loro ingenuità crea casi decisamente imbarazzanti perché rivelano una assunzione di responsabilità che contrasta con l’assunto dell’egoismo maschile, casi che sottraggono finanche ogni parvenza di ragione alla donna che vuole abortire. L’aborto infatti può avere solo due generi di motivazioni, quelle connesse alla gravidanza parto e quelle relative al dopo parto. Nel primo caso si tratta di aborto terapeutico che non è in questione e che nessuno ha mai posto in discussione, nell’altra dell’aborto derivante dalle difficoltà o dall’impossibilità per la madre di mantenere ed allevare il figlio, ed è qui che nasce l’imbarazzo femminista. Infatti, nel momento in cui il padre si assume ogni responsabilità e l’impegno esclusivo della cura non esiste più alcun impedimento a che la gravidanza sia portata a termine; una volta rimosse le ragioni che possono indurre la donna ad abortire (nei termini della legge 194) non esistono appunto ragioni che possano indurla a farlo. E’ però evidente che, in questo caso, la donna dovrebbe portare a termine la gravidanza diventando in tal modo, e ancora una volta, “strumento in mani maschili”, un contenitore, una cosa, perciò l’ipotesi stessa suona scandalosa, mentre non suona scandalosa l’imposizione della paternità che pure non riguarda nove mesi ma l’intera vita di un uomo, come se anch’egli non diventasse in tal modo un mero strumento nella mani di lei, una macchina da reddito, come se anch’egli per produrre quel reddito non impiegasse il suo corpo e non consumasse energie fisiche ed emotive. 
 
E’ significativo che persino gli attivisti ed i più radicali rappresentanti del movimento maschile restino incerti di fronte ad una simile prospettiva: non si può imporre ad una donna di portare a termine una gravidanza non voluta, dicono, ma se questo è inaudito, se è inammissibile che le donne abbiano dei doveri, dovrebbe essere riconosciuto ai maschi almeno il simmetrico diritto di disconoscere la paternità, impossibilità che li trasforma in strumenti, in cose al servizio della volontà femminile per tutta la vita. Ecco come svuotare l’ipotesi stessa che ai maschi competa alcun diritto: è sufficiente proclamare che in tal caso le donne diventano oggetti nelle mani maschili, strumenti della volontà altrui, vittime di una nuova violenza.iv Dal momento che non vi sarà mai alcun diritto maschile che non implichi doveri femminili, una volta bollati questi come nuova violenza il gioco è fatto, ogni dovere femminile sarà liquidato come “riduzione della donna a strumento”; quel che accade per i diritti riproduttivi si ripete in quelli sessuali (“Non saremo il ricettacolo del vostro sperma!”) ed in ogni altro aspetto della relazione. La donna dunque decide della vita del partner, dei suoi impegni futuri, del suo destino e tutto ciò nel più puro arbitrio, nella più stretta autocrazia. La volontà degli uomini sulla decisione più importante della loro vita non conta nulla, zero è il loro potere perché zero è il loro valore. Questo disvalore radicale si manifesta anzi qui in modo persino beffardo dal momento che mentre la paternità può essere estorta con la più sfacciata ed irridente slealtà sta il fatto, che è al di là del credibile, che neppure con la prova del Dna il padre putativo può liberarsi di una falsa paternità, prova scientifica che, come noto, è sufficiente per incastrarlo. Così ha sentenziato la magistratura italiana con due limpide e non contraddittorie decisioni.v

i O annullabili.
ii “Corriere delle Alpi”, 18.01.2001, p. 12. Nell’autunno del 2003 l’interessato, Boris Becker, cambiò versione affermando che in realtà si era trattato di un ordinario incontro, nuova verità che non intacca ciò che stiamo dicendo ma lo conferma giacché egli dovette mantenere la madre e il figlio già sulla base della prima versione. Il racconto è cambiato, le conseguenze sono le stesse.
iii W. Farrell, Il mito del potere maschile, op. cit., p. 46.
iv S. Coppa, “Grazia”, 18.12.2001. Obiezione mossa a Claudio Risé nell’ambito del suo “Appello per il padre”. Vedi Il padre - L’assente inaccettabile, S. Paolo, Cinisello B. - Milano 2003, pp. 150 e ss.
v Irrilevanza della prova del Dna quando esclude la paternità, sentenza della Cassazione n. 14887 del 23.10.2002, vedi “Il Giornale”, 24.10.2002, p. 16. Valore della prova per l’accertamento e l’imposizione della paternità, stessa Corte, sentenza n. 3793 del marzo 2002, vedi “Il Piccolo”, 2.04.2002.

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