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3.8b.2 Domesticazione universale

Gli angoli di natura incontaminata si sono ridotti a francobolli sempre più minacciati dall’aggressione congiunta della quantità e della qualità, dal numero degli umani e dal tipo di vita che conducono sempre più declinata sul modello occidentale. Questa antropizzazione planetaria ha avuto come inevitabile effetto la sottomissione della natura alle esigenze umane, un processo di domesticazione universale che ha portato alla quasi totale scomparsa delle terre selvagge ed insieme della fauna e della flora selvatiche. Pur dovuta in buona parte alla crescita demografica esponenziale, che solo ora sta rallentando, non vi è dubbio che al modo di vita occidentale debba essere assegnata una notevole quota dei danni prodotti, come se questa nostra Civiltà fosse davvero fondata su una profonda avversione, del resto ricambiata, nei confronti della natura. Tocqueville, ritornato dagli Usa nei primi decenni dell’Ottocento, garantiva che i bisonti sentivano la presenza dei bianchi ad una distanza di quasi cento chilometri.i E’ l’odore dell’uomo bianco la cui Civiltà è radicalmente orientata ad eliminare l’imprevisto, l’incerto, ad imporre il controllo su tutti i viventi e su tutte le forze della natura, volto a garantire sicurezza, prevedibilità, certezza.

Come ci ricorda, tra altri miti, la saga di Gilgamesh, alla selva, sede degli istinti e madre di Enkidu, si contrappone la città, luogo del controllo, dell’artificio, della politesse. Questa tematica è al centro del ‘Pensiero selvatico’ e della sua proposta di riconoscimento e rigenerazione della natura istintuale sia degli uomini che delle donne,ii ma intaccato da questa perdita, assai più di quello femminile, è il profondo del sentire maschile, perché è qui che si manifestano i danni maggiori della domesticazione castratrice, portato di una Civiltà che, non ricavando benefici dalla vitalità del toro, ha bisogno di trasformare gli uomini in buoi. 

La lotta quotidiana contro il sudore, il fango, le ferite, il disprezzo per il pelo (salvo forse quello dei cani e dei gatti) per l’odore, per le gocce di urina, la protezione da ogni “male”, da ogni rischio, da ogni possibilità che accada qualcosa di imprevisto, l’irrisione delle avventure, il disprezzo per coloro che “buttano via la vita” non possono restare senza effetti. Imballaggi, involucri, salvavita, cinture, recinti, protezioni, caschi, air-bags, non ci dicono niente? Schernire chi rischia, deridere i pionieri, sbeffeggiare chi cerca e non trova, chi osa uscire dal saputo, dal noto, disprezzare chi supera il recinto che garantisce in pari tempo l’incolumità fisica, il conformismo morale e l’eterna adolescenza dovrebbero essere senza conseguenze? Addomesticare significa ridurre un animale alla nostra utilità, togliergli la selvatichezza, trasformarlo in strumento e renderlo dipendente. Trasformare un toro in bue significa togliergli quel che non ci è utile come se quel che non è utile a noi non avesse il diritto di esistere. E infatti oggi è buono tutto ciò che è conforme ai gusti femminili (occidentali) e merita di esistere solo ciò che è utile alle donne (occidentali), il valore delle cose è dato dalla sola utilità economica e materiale, dal potere e dalla gloria che esse possono ricavarne. La necessità del controllo più puntiglioso su ogni fattore, su ogni elemento che incida nella vita collettiva ed individuale è in realtà una risposta alla paura, la richiesta ossessiva della sicurezza che ci garantisca contro tutto e tutti, la garanzia che ciò che abbiamo e ciò che siamo resista alle intemperie del caso e della fatalità, protezione di cui la vita ha certamente bisogno ma che, esplodendo incontrollatamente, diventa antivitale. 

L’iperigiene dei corpi, delle abitazioni e degli alimenti mentre dà il suo non piccolo contributo all’inquinamento e alla crescita delle discariche è già stata individuata come una delle cause delle crescenti allergie mentre non si esclude che cibi sterilizzati e abitazioni asettiche favoriscano direttamente squilibri e infiammazioni intestinali.iii Quando la legge sanitaria giunge ad imporre la pastorizzazione in loco del latte di malga o il confezionamento separato di ogni panino che viene messo sulla tavola dei nonni nelle case di riposo, è allora che la necessaria tutela della salute pubblica smette di essere tale e si entra nella patologia collettiva. Questo lo si è sospettato da tempo, quel che non si è notato è che si tratta di un’ipertelìa della pulsione all’infinita protezione, alla illimitata tutela, la tracimazione di una polarità femminile. Se i maschi fossero al governo già da tempo sarebbe stata introdotta una sana imposta sul pulito e sull’igiene a beneficio dell’ambiente, dei figli, dei mariti e, non ultimo, delle stesse donne, su questo versante ormai del tutto uscite di senno.

i A. C. de Tocqueville, Democrazia in America, Rizzoli, Milano 1992 (1835).
ii Percorso esperienziale volto al recupero delle forze istintuali contro la società delle buone maniere e le manifestazioni sociali della potenza della Grande Madre. In Italia il movimento fa riferimento al lavoro di Claudio Risé ed in particolare al suo saggio Il Maschio Selvatico, Red Edizioni, Como 1991. Per un avvicinamento si veda pure il ricchissimo sito www.maschiselvatici.it. Negli Usa analoghe esperienze furono fecondate da Robert Bly con il suo Iron John - A book about men, trad. it. Per diventare uomini, Mondadori, Milano 1992.
iii “La Repubblica”, 15.04.03, p. 26.

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