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2.3.9 Aborto

Il femminismo rivendica la legalizzazione dell’aborto come una delle sue prime e più importanti conquiste ottenuta contro gli uomini che seminavano figli nel mondo fregandosene bellamente delle conseguenze ed anzi impedendo ad esse di porre rimedio alle gravidanze non volute. Si tratta di una conquista che il potere maschile sempre vorrebbe porre in discussione. Il diritto alla scelta è considerato assolutamente inalienabile, una libertà fondante senza la quale le donne tornerebbero ad essere macchine da riproduzione sotto il potere maschile: “L’utero è mio e me lo gestisco io!”. Lo scontro con la Destra e la Chiesa su questo punto è durissimo, in particolare non si ammette che la posizione di quest’ultima discenda da princìpi di Fede e che l’antiabortismo non mira a limitare la libertà delle donne, anche se questo può esserne un effetto, al contrario si assume che questo sia invece il vero scopo e che i valori in cui i credenti credono siano pure mistificazioni miranti a coprire il vero obiettivo, colpire le donne. Negando lo scopo dichiarato dai credenti si risale da uno degli effetti alle loro intenzioni e quindi alla loro colpa. Per il femminismo i credenti non credono, fingono di credere per poter colpire le donne. Ecco come si esprime Miriam Mafai con riferimento alle ragioni per le quali la Chiesa si oppone alla commercializzazione della RU486, contragestativo farmacologico: “ ‘Tu partorirai con gran dolore’, dicono le Scritture. Ma se oggi non si partorisce più (salvo rari casi) con gran dolore, che almeno dolore, umiliazione e senso di colpa accompagnino le donne che intendono abortire”.i Poiché il divieto di aborto ha colpito le donne e l’indisponibilità della RU486 ancora le colpisce, vuol dire che questo impedimento nasce dalla volontà di colpirle e che i princìpi dei credenti non sono che una maschera che nasconde quello scopo inconfessabile.
Il passaggio dall’effetto negativo (per le donne) di una legge o di una regola sociale all’intenzione di coloro che la difendono o che non la combattono, qui applicato al caso dei Cattolici, è lo schema sistematicamente impiegato nei confronti del genere maschile. L’aborto dunque è una conquista femminista, una vittoria ottenuta contro il maschilismo. Qui altre sono le dimenticanze. La prima è che con l’aborto non solo le donne vengono liberate da maternità non volute, ma al tempo stesso anche gli uomini vengono svincolati da paternità indesiderate nella maggior parte dei casi, il guadagno dunque non è solo femminile, anzi, se è vero che l’egoismo maschile (è ora di dirlo) è superiore a quello femminile, allora il guadagno maggiore sarà proprio degli uomini. Qui esiste la controprova, risulta infatti (negli Usa) che, nel caso di gravidanze non programmate, i maschi siano orientati all’aborto più delle femmine (letta nel senso di “spingono le donne ad abortire”) cosa del tutto naturale se le considerazioni ante esposte hanno un fondamento. Gli uomini sono colpevoli della lotta contro l’aborto e al tempo stesso della loro maggior propensione all’aborto.
Quando è la donna a voler abortire la questione “egoismo” non può nemmeno essere presa in considerazione. Le donne abortiscono “per necessità”, gli uomini le spingono ad abortire per egoismo, per calcolo. Di egoismo femminile non è assolutamente possibile parlare, infatti nessuno mai, neppure i più accaniti maschilisti o i più intransigenti Cardinali, si è azzardato ad associare quel termine alla parola aborto, benché la scelta femminile sia fondata, come è ovvio, sul calcolo della donna e cioè sui suoi personali interessi, sul suo tornaconto. Un tabù inviolabile ed inviolato nasconde questa banale verità, mascherata dalla certezza universale che “una donna non abortisce a cuor leggero”. Con il criterio del calcolo egoista si giudicano e si condannano gli uni, con quello dell’autodeterminazione si celebrano le altre.

i “Micromega”, n. 4/2000, p. 23.

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