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4.2.7 La Destra liberista

Porta il nome di Destra, pur se forse impropriamente, anche un’altra prospettiva politica, un’altra ideologia, quella oggi vincente su tutte le latitudini e che meglio sarebbe qualificare come liberistico capitalista. Si tratta di quel progetto ideal politico che al tempo stesso esprime ed è espresso dalla struttura economica, sociale e politica del capitalismo. Liberismo economico, liberaldemocrazia politica, capitalismo privato, consumismo, angloamericanismo; il modello vincente di società che si sta espandendo nel mondo in quella che va sotto il nome di globalizzazione, l’occidentalizzazione universale
 
Ad una lettura superficiale (che è sempre quella più facile) può sembrare che l’intera prospettiva femminista sia del tutto avversa a questa forma socioeconomica e alla sua ideologia. Quale compatibilità vi può essere infatti tra l’etica della difesa dei deboli e la legge del più forte (o almeno del “migliore”) che sta alla base del capitalismo? Come conciliare l’ideologia della cura e della manutenzione con quella del saccheggio delle risorse, il rispetto per ogni forma di vita con la distruzione degli habitat, la priorità della persona con il primato della merce, quella della relazione con quella dello scambio? Come conciliare empatia e calcolo economico? Da queste contraddizioni si dovrebbe dedurre che il femminismo sia nettamente anticapitalistico e infatti buona parte della sua propaganda è orientata in senso duramente critico nei confronti della società attuale. Alla distorsione percettiva dei veri rapporti intercorrenti tra i due, che sono invece di perfetta simbiosi, contribuisce ancora una volta la propaganda della Destra tradizionalista e dei (silenziosi) critici del femminismo secondo i quali esso non rappresenterebbe altro che una metamorfosi della Sinistra, opinione che abbiamo lasciato intendere anche in queste pagine laddove si è affermato che il femminismo sembra aver raccolto sulla corsia della storia la fiaccola caduta dalle mani dell’utopia socialista.

Ad onta di ogni apparenza, in contrasto con tutte le nostre presunzioni e i grandi proclami delle filosofie femministe, il femminismo risulta invece del tutto omogeneo al sistema capitalistico e più precisamente alla società postindustriale che ne rappresenta lo stadio attuale. Per superare la momentanea incredulità basterà considerare che il primo e la seconda si sono evoluti insieme, hanno la stessa data di nascita e si supportano l’un l’altro. Si può osservare, ad esempio, che ad onta delle affinità ideologiche originarie, il femminismo non ha mai attecchito nei paesi che furono comunisti dove, a rigore, avrebbe dovuto trionfare. Tradisce invece quella profonda affinità il progetto ‘New Global’ che, mentre si oppone al liberismo ed al capitalismo, intende espandere le forme politiche e sociali occidentali in tutto il mondo. E’ la “globalizzazione buona” che intende esportare in ogni continente “le cose buone dell’Occidente” e cosa vi è di meglio in questa regione del mondo del “ruolo della donna”? Così ad esempio si esprime la pur critica e pensosa Susan Sontag e questo è, di fatto, il programma della Conferenza di Pechino.i
 
Come è possibile che il femminismo, nato a Sinistra risulti compatibile anzi simbiontico al capitalismo? La risposta risiede nell’origine comune di questi sistemi di valori e modelli sociali. Tra i due non vi è solo compatibilità, nel senso che, reciprocamente, l’uno non ha nulla da temere dall’altro, ma profonda interconnessione. Entrambi infatti nascono dal progetto baconiano della Grande Conquista, rami uscenti dallo stesso tronco e perciò, nel profondo, identici. Per questo, come abbiamo detto, il supermarket è il luogo logico, etico, materiale e simbolico nel quale i due si incontrano, si fondono e si confondono. Là si celebrano ogni giorno le più sontuose nozze tra questi due falsi nemici.

i “La Repubblica”, 20.03.2003, p. 49. La quarta conferenza mondiale delle donne si tenne a Pechino dal 4 al 15 settembre del 1995.

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