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1.3.3 La storia occidentale secondo la GNF

A seconda dei contesti e dei momenti e senza che alcuno si curi della contraddittorietà di queste due incompatibili verità, la GNF afferma e al tempo stesso nega che il sistema oppressivo maschile sia universale. La denuncia della sua universalità giova come espressione di una condanna totale dell’intera storia (e della preistoria) globalizzando la colpa maschile con le finalità che vedremo. Al tempo stesso però una tale prospettiva lascia sospettare che il divario del potere, manifestato da ogni cultura, dipenda dalla natura e perciò sia senza rimedio e nel contempo dà un’immagine delle donne come di creature bensì oppresse ma anche imbelli e incapaci. Di qui la necessità di rinvenire nella storia momenti ed epoche libere dall’oppressione maschile a significare la possibilità, anzi la naturalità del prefigurato Eden femminista. In questo senso il racconto che ha avuto maggior fortuna, tanto da diventare canonico, è quello proposto da Marija Gijmbutas10 secondo la quale l’origine della società patriarcale va assegnata alla cultura di Kurgan (cultura delle Tombe a Fossa) come viene denominata quella dei popoli pastori-allevatori delle steppe caspiche del IV millennio a. C. Eredi della precedente cultura di Srednij Stog addomesticatrice del cavallo, i popoli di Kurgan erano pastori-allevatori che conoscevano la metallurgia, usavano il carro a due ruote e portarono a compimento lo sviluppo dell’economia dell’allevamento nomadico. A queste condizioni economiche si associò lo sviluppo di una cultura guerriera, patriarcale, gerarchica e sessista con caratteri individualistici e orientata alla predazione. I Kurgan divennero sempre più potenti ed iniziarono ad espandersi verso ovest (Balcani e centro Europa) e verso sud (Mediterraneo) aggredendo le preesistenti culture agricole ed imponendovi la loro ideologia. Questa ricostruzione è data per certa dalla GNF e viene contestata solamente in ambiti accademici al di fuori dei quali costituisce una verità inconfutabile. Ecco una descrizione delle conseguenze di questa espansione dei Kurgan nelle parole di quegli uomini che hanno adottato l’intera GNF, maschi catturati dalle verità ed asserviti all’etica del femminismo dei quali ci occuperemo più avanti. Va riportata integralmente in quanto, mentre tratteggia lo scenario del passato, si presenta anche come caso esemplare di subordinazione morale, di adozione integrale del racconto e delle prospettive femministe. 

“Per circa 30-40.000 anni, cioè dalla preistoria fino al neolitico avanzato (circa 5.000 anni fa), sono esistite società pacifiche ed evolute, centrate sull’autorità femminile e matrilineari, in cui bambini e bambine venivano allevati/e da tutto il clan materno, avendo come riferimenti la zia e lo zio (stessa radice di thea e theòs, = dea e dio). I maschi, contrariamente all’interpretazione ufficiale che li vuole cacciatori, guerrieri e artefici (homo sapiens = homo faber), secondo questo filone della cultura attuale, erano invece pacifici e immagino non disdegnassero le attività di cura svolte in un clima conviviale né di entrare in rapporto con bambini/e e con donne anziane, la cui autorevolezza riconoscevano senza problemi. Inoltre i maschi portatori di handicap erano trattati con riguardo perché considerati, come le donne anziane, più in contatto con il sacro. 

Queste straordinarie civiltà, dove la qualità della vita era notevolmente elevata (si sono trovati i resti di vere e proprie città, di abitazioni confortevoli, di manufatti raffinati), furono spazzate via dall’invasione di tribù nomadi indoeuropee di maschi cacciatori-guerrieri-pastori provenienti dalle regioni steppose dell’Asia Centrale, che a diverse ondate si riversarono sulle fertili e prospere aree del Medio Oriente, dell’Egitto e dell’Europa. I bellicosi nuovi arrivati instaurarono delle società in cui le donne venivano stuprate e schiavizzate, in cui la forza e la violenza furono usate per dominare gli altri maschi (risale ad allora la divisione in classi sociali rigidamente gerarchizzate), in cui non c’era più posto per maschi gentili e miti, aperti al dialogo e riconoscenti verso la madre e le anziane. Nacquero così i governi autoritari e la famiglia patriarcale (‘pater’ era colui che aveva il potere di vita o di morte sui figli/e, mogli, schiavi/e, ecc.) e nella società si instaurarono gli stessi modelli di comportamento e gli stessi valori della guerra e della caccia (nacque anche lo ‘sport’, che nei periodi di pace ‘mimava’ le dinamiche della guerra): la lotta come metodo per la risoluzione dei conflitti, la sopraffazione fisica e psichica, lo sviluppo della razionalità e del protagonismo sociale a danno della sensibilità della tenerezza e delle relazioni significative e profonde con donne e altri maschi. Anche gli animali e la natura tutta, come del resto il corpo femminile, da espressioni del sacro diventarono oggetti da preda, disprezzati come impuri, demonizzati, da controllare e dominare. In particolare il sangue mestruale, prima celebrato come generazione della vita, fu considerato immondo e vergognoso, mentre si innalzò agli onori il sangue sparso in guerra, nelle migliaia di guerre continuamente combattute per conquistare territori e stabilire la gerarchia del potere”.11 Dal paradiso all’inferno, parola di uomini.

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