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4.1.2 L'orgoglio dei vinti

Per scendere sul campo di battaglia a difendersi bisogna riconoscersi in pericolo, ma, così facendo, ci si confessa vincibili e mortali, si dichiara di avere paura e di temere per la propria fine. Non solo, si deve anche ammettere che l’avversario non si ferma se non viene fermato, si deve riconoscerne la potenza. Confessando candidamente la propria vulnerabilità si deve abbandonare l’orgoglio vuoto e autolesionista, l’autocompiaciuto e falso stoicismo che, per quanto se ne sa, potrebbero condurre alla rovina. Riconoscersi odiati e vulnerabili, perseguitati e vinti, è questo lo scoglio. Scendere sul campo di battaglia a favore di se stessi (per la prima volta da sempre) presuppone negli uomini un atto di umiltà e insieme l’abbandono di quell’antico onore che si chiama Cavalleria, quella che, ad onta dei dileggi e del disprezzo che l’hanno mutilata, ancor oggi li onora perché li solleva, un poco, dai bassifondi della viltà universale. Gesti che paiono impossibili e contro i quali reagisce il profondo degli uomini, quell’idea del loro stare al mondo quale si è formata nei secoli in Occidente.

Perciò i maschi preferiscono difendere l’antico assunto, rinnovare le vecchie illusioni e proteggere l’ultimo riflesso di onore, trincerati nella Roccaforte dell’Orgoglio: fingere che nulla stia accadendo. Del resto, come riconoscersi vinti sapendo che non li attende l’onore delle armi ma il sorriso compiaciuto della Vittoriosa? Non una nuova, impensata, inaudita Cavalleria femminile, ma, ben che vada, il colpo di grazia della compassione e del perdono?i Cosa possono guadagnarne se non canzonatura e irrisione? Meglio, dunque, fingere nulla. Eppure è davvero l’uscita da quella rocca, la fine dell’antico orgoglio, orgoglio di vinti, la condizione della rinascita. Di qui la sfida, perché ‘Colei che tutto comprende e tutto governa’ sente che l’abbandono di quella bandiera, la discesa da quel piedistallo avvierà la fine del suo delirio di onnipotenza. Sin quando staranno lassù, asserragliati a difesa di un onore ogni giorno dileggiato e di una dignità comunque ferita, saranno invece innocui e impotenti. E’ così che i vinti   da sempre   resistono all’estremo saccheggio del loro essere: manifestando sufficienza, ostentando indifferenza. L’orgoglio. 

Finché gli uomini staranno a guardare dall’alto il nuovo, mai visto e grandioso spettacolo, incantati dalla mirabile potenza della Grande Signora e vergognosi di combatterla, compiaciuti del male che li colpisce, gli squadroni delle Nuove Amazzoni dilagheranno nel mondo. Così, per tema di umiliarsi saranno umiliati, per salvare l’onore saranno disonorati, per scampare alla rovina saranno rovinati. Per conservare la loro anima, la perderanno. La perderanno davvero?

i “Il perdono sancisce una drammatica differenza di potere tra creditore e debitore …()… in realtà il debito cresce”, M. Miceli in C. Castelfranchi ed altri, Sensi di colpa, op. cit., p. 168.

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