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3.6.14 La liberazione sessuale

La liberazione sessuale - vanto del femminismo   è quel processo che avrebbe portato all’espansione delle manifestazioni della sessualità in tutte le sue forme e quindi anche ad un incremento dei rapporti, tanto che, nell’opinione universale, noi vivremmo nell’era del sesso. Questo tipo di lettura viene suffragato da quei tradizionalisti che denunciano la situazione attuale come quella del libertinaggio e della promiscuità, e, come si sa, niente giova maggiormente a confermare l’esistenza di uno stato di cose quanto l’azione di coloro che intendono combatterlo. Un simile quadro presuppone però che per entrambi la vita sessuale abbia lo stesso significato, che entrambi abbiano gli stessi bisogni, ma se per le femmine il sesso è uno strumento e non il fine, allora la c.d. “liberazione sessuale” deve significare per esse qualcosa di diverso di quel che significa per gli uomini. Quanto potente sia quel desiderio e quanto condizioni la loro vita è manifestato da ciò che fanno da sempre per soddisfarlo. Il rapporto sessuale è un loro bisogno radicale, controllabile con grande fatica, fonte di disagi e disturbi, persino di malattie e disordini comportamentali quando non venga soddisfatto, la passione che scatena e che si riflette nelle opere artistiche, di cui, come noto, secondo Freud sarebbe addirittura la fonte, è qualcosa che non potrà mai essere soppresso. Ogni bisogno altrui ci garantisce però un potere e non vi è motivo per cui questo debba venir soddisfatto oggi più agevolmente di quanto accadesse in precedenza e perciò non è irragionevole attendersi che la quantità di sesso globalmente praticata in età femminista sia inferiore che nel passato e progressivamente sempre minore, sempre più costosa in termini economici e di dipendenza emotiva, sempre più controllata e regolamentata, sempre meno “selvaggia” e sempre più “civile”. 

Se quella dei sessi è una guerra per la conquista del potere da parte delle donne e non “contro ogni forma di potere”   come ormai tutti capiscono   ci si deve attendere che i doveri femminili diminuiscano sino ad azzerarsi e che i diritti maschili scompaiano e, se per le donne il sesso è un pedaggio, la loro piena libertà non potrà che corrispondere alla fine del pagamento di quel prezzo, ossia alla fine del sesso, conclusione tanto logicamente corretta quanto scandalosa ed inquietante, conseguenza assurda che sconfina nel delirio. In questa inaudita prospettiva la c.d. “liberazione sessuale” non sarebbe altro che la liberazione dal sesso, la fine del coito e la realizzazione del sogno amazzone: mantenersi senza gli uomini e riprodursi senza incontri. Per quanto allucinato e aberrante possa apparire questo scenario non si può negare che una simile condizione rappresenterebbe forse lo stato di massima libertà immaginabile per le donne, la materializzazione di un antico miraggio. 

Una mia amica, femminista praticante, mi disse un giorno: “La liberazione sessuale non è quello che credete voi, è la fine del sesso per dovere”. Ora, se la fine del dovere coincidesse con la fine della costrizione non si vede cosa vi sarebbe da obiettare, sennonché alla fine di ogni dovere corrisponde la fine di ogni simmetrico diritto e quindi la negazione del valore delle pulsioni maschili e il disconoscimento dei sentimenti degli uomini. E’ la rivendicazione esplicita del diritto al monopolio sessuale nella relazione di coppia giacché non rientra più “tra i compiti della donna sposata sopportare le angherie del marito, prime tra tutte la consuetudine sessuale”.i Se per le donne il sesso è un’angheria la liberazione sessuale rappresenterà allora la fine di ogni tipo di rapporto che non sia strumentale a qualche altro obiettivo, la liberazione dal sesso inteso come fine a se stesso. Questo agghiacciante rovesciamento dell’intera prospettiva entro la quale si è sviluppata sin qui la guerra dei sessi, l’inversione del significato dell’espressione “liberazione sessuale”, non può essere presa sul serio perché le conseguenze sarebbero sconvolgenti. In questo quadro, infatti, la promessa di sesso libero e gratuito si accingerebbe a trasformarsi in repressione sessuale, la liberazione dei sentimenti e la facoltà di dar corso alle pulsioni si rovescerebbero nel loro opposto, la valorizzazione del corpo e della corporeità negata e denegata per millenni si trasformerebbe nella più radicale negazione di ogni diritto degli istinti e delle passioni. Il genere femminile portatore dell’Eros, Genere erotico per definizione, giunto al potere, si libererebbe del sesso in uno scioccante rovesciamento di tutti quelli che sembravano essere i suoi fini, mirerebbe anzi al potere anche con questo fine. 

Una simile prospettiva   davvero sbalorditiva   non è altro che un’ipotesi assurda benché non siano mancate indicazioni in tal senso, provenienti, fatto sorprendente, da uomini che non possono essere sospettati di simpatie femministe. Otto Weininger, creatore di una filosofia esplicitamente misogina, sostiene apertamente che la sola strada che le donne hanno per uscire dalla condizione di inferiorità nella quale si trovano e diventare pienamente umane consista nella fine del sesso, nell’abolizione pura e semplice della vita sessuale, e suggerisce poi, coerentemente, che se veramente gli uomini vogliono fare il bene delle donne non hanno che un modo, smettere di fare del sesso, cioè di abusare di esse intendendo che ogni rapporto, gradito o sgradito, sia una violenza, ogni contatto un abuso, ogni coito uno stupro, concetto che   sorprendentemente   anticipa di quasi cento anni il noto slogan femminista. Prospettiva questa che risuona anche nell’espressione un tempo in uso laddove, volendo significare che non aveva avuto rapporti con una donna, l’uomo affermava di ‘averla rispettata’ e ciò a prescindere dai desideri di lei, come se, pur nella consensualità, il coito in sé rappresentasse un’irreversibile caduta. Ben più che mancanza di rispetto, quasi una forma di oltraggio: “Difatti l’atto sessuale normale rende la donna schiava del maschio e della specie”, chiarisce Simone de Beauvoir.ii Quel che sostiene Weininger, nella cui assurda concezione anche quando una donna vuole ardentemente l’incontro essa in realtà vuole il proprio male perché sarebbe il rapporto in se stesso la causa di quella condizione di inferiorità da cui deve uscire, perciò, ogni coito è un crimine di cui gli uomini portano la colpa, ogni incontro una profanazione.iii

E’ impossibile immaginare qualcosa di più teso, allucinato e stravagante ma proprio per questo la coincidenza tra le affermazioni di quel filosofo misogino ed il concetto esplicitato dallo slogan “ogni coito è uno stupro” risulta ancora più inquietante. D’altra parte considerando lo schema entro cui il femminismo sta costringendo le relazioni tra i due è parso di leggervi in filigrana un percorso profondamente diverso da quello apparente, orientato non verso la libertà dei rapporti e l’intensificazione della relazione ma, al contrario, verso la compressione delle pulsioni maschili e il loro impiego come strumenti volti ad un fine. Di più, la sensazione che il femminismo percepisca oscuramente quel gesto come lesivo della dignità femminile incomincia ad affiorare qua e là al punto che uomini maturi confessano ormai che le loro compagne “…ex-post-tardo-femministe ritengono l’amore una turpe invenzione maschile” e qualche giovanissimo non esita a dire che “…la penetrazione è ormai percepita come atto invasivo” e che solo grazie alla secolare propensione al sacrificio la donna riesce a tollerare quella contaminazione.iv

In ogni caso, nonostante l’inquietante convergenza tra condizioni evolutive, manifestazioni storiche, confessioni improvvide dello stesso femminismo ed esperienza maschile relativa alla struttura dei rapporti, la prospettiva weiningeriana che vede in ogni coito uno stupro e che prefigura l’era del potere femminile come quella della fine del sesso ha tutt’al più il valore di una violenta provocazione. Infatti per chi vive il sesso come strumento la “liberazione sessuale” non significherà la fine dei rapporti ma l’avvio dell’era nella quale la vita sessuale sarà praticata sotto determinate condizioni, era del monopolio femminile sul se, il come, il quando ed il quanto, nella quale l’incontro (“una concessione territoriale”) avverrà “…sotto il dominio di una autorità onnipotente titolare di un controllo assoluto sulle emozioni dei sudditi” come profetizza Pascal Bruckner.v La libido maschile non sarà più solamente fonte di corteggiamento, di beni materiali e di celebrazione ma anche mezzo da usare per controllare i sentimenti maschili, imporre i comportamenti graditi, insinuare il sospetto della colpa e incutere paura. 

i L. Accati, Il mostro e la bella, Raffaello Cortina, Milano 1988, p. 259.
ii S. de Beauvoir, Il secondo sesso, op. cit., p. 430. Forse temendo di aver troppo caricato le tinte l’autrice subito si corregge ricordando che “…lo sperma non è un escremento”, ivi, p. 431.
iii O. Weininger Sesso e carattere, Ed. Mediterranee, Roma 1992, (1903) pp. 382-385, 419 e ss. “Nell’amplesso sta la massima degradazione della donna” p. 423.
iv Nell’ordine: lettera di un ‘gruppetto di amici’ alla rubrica Questioni di cuore di Natalia Aspesi, “Il Venerdì” de “La Repubblica”, 5.12.2003, p. 197; glosse di Marcello Menna a diversi articoli di stampa del giugno 2002. Comunicazione personale.
v P. Bruckner, La tentación de la inocencia, op. cit., p. 176.

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