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4.1.1 Bancarotta

Viene spontaneo domandarsi quali siano le cause della mancata opposizione maschile di fronte all’espandersi del femminismo la cui avanzata (salvo un po’ di imbarazzata resistenza passiva) non ha trovato ostacoli. Si immagina che avrebbe dovuto trovare opposizione aperta e formale, dura e tenace, se non ai suoi inizi, almeno da un certo punto in poi quando parve chiaro che questa forza, al pari di ogni altra, non si sarebbe fermata sin quando non avesse trovato un ostacolo, un’altra forza che le si opponesse. A spiegare questo sconcertante fenomeno sono state evocate diverse cause, la Cavalleria, innanzitutto. 

Sul ruolo giocato dalla Cavalleria maschile non possono esservi dubbi; gli uomini hanno applicato all’intero genere femminile quel che ordinariamente mettono in pratica nei confronti delle singole donne, hanno fatto un passo indietro ad ogni grido femminile, hanno acconsentito, e spesso se ne sono fatti direttamente promotori, ad ogni richiesta ed hanno indietreggiato di fronte ad ogni pretesa, spinti a ciò da quella perla che natura e cultura insieme hanno creato ad onore degli uni e a protezione delle altre. Le donne occidentali hanno così beneficiato di un gigantesco effetto Titanic prendendo posto sulle scialuppe e lasciando gli uomini a vedersela con l’affondamento del loro valore. La Cavalleria non consiste solo nella rinuncia all’uso della forza contro il debole ma anche nel tirarsi indietro quando si potrebbe andare avanti, nel morire al posto dell’altro, nel fargli strada. Essa è la forza del debole, e che le donne abbiano dei lati deboli nessuno lo può negare benché sia oggi universalmente negato, al tempo stesso però hanno anche molti lati forti e di questo gli uomini non hanno tenuto alcun conto. In verità essi, con ingenuo candore, pensavano che il nuovo potere femminile, la nuova forza che si somma all’antica, avrebbe indotto, quasi costretto le donne a praticare quella Cavalleria che è onere ed onore del potente, ma la debolezza maschile è gridata a fini di umiliazione e mortificazione e non viene minimamente sentita come fonte di obblighi, di rispetto e di fair play. Non vi è campo delle relazioni tra i due nel quale si possa intravederne l’ombra. Palese nell’ambito sessuale, nel quale hanno conquistato il diritto di maramaldeggiare sui sentimenti maschili e di speculare sui loro ormoni senza limiti e senza scrupoli, eclatante nel fatto che abbiano ottenuto in tutto l’Occidente il diritto di diventare generali senza il dovere di fare i soldati, come se potessero esistere eserciti senza truppa, espressione di un irridente cinismo e di una tracotanza che hanno impedito loro persino di salvare le apparenze, scavalcate di netto, e tutto ciò, beffardamente, proprio in quell’ambito militare nel quale la Cavalleria, o almeno la sua simulazione, dovrebbero essere d’obbligo. Comportandosi da Cavalieri Ingenui i maschi hanno giocato la più autolesionista delle scommesse. 

E’ stato anche ipotizzato, con fondate ragioni, che alla base di questo cedimento vi sia la pulsione maschile al corteggiamento. Tutto quel che le donne pretendono non sarebbe altro che l’insieme di quei doni che ogni maschio sente comunque di dover dare per entrare nelle grazie femminili, per ottenerne il consenso, omaggi e cortesie che le donne stesse ragionevolmente si attendono in forza del loro superiore valore sessuale. Niente di più, e niente di meno, che un corteggiamento di massa indiretto e dissimulato che soddisfa e appaga il sentimento profondo degli uomini come ogni regalo appaga quello dell’innamorato che lo offre.
Della stessa classe, ma non coincidente con la precedente, è l’ipotesi che l’eventuale contrasto con il genere femminile confligga con l’opposta dinamica che anima invece la proiezione verso di esso. I maschi si troverebbero cioè impossibilitati a coniugare la pulsione che li proietta verso le femmine con quell’atteggiamento di separazione e di distanza che la contrapposizione al femminismo richiede. Posti tra la spinta all’avvicinamento e quella antitetica allo sganciamento emotivo si troverebbero impigliati in due condizioni psicologiche contrastanti ed incompatibili e finirebbero per scegliere quella che li porta verso le femmine precludendosi in tal modo la possibilità di porre in questione i fondamenti della relazione tra i due. Quell’allontanamento è infatti percepito e vissuto non come condizione di autonomia e liberazione interiore, non come fondamento di una relazione psicologicamente paritaria ma come scelta di rottura con l’intero genere femminile, come un vero e proprio riorientamento sessuale. Qui starebbe la ragione per la quale i mascolinisti sono sospettati di omosessualità e questo ad onta del fatto che l’intero movimento omosessuale e la quasi totalità del mondo gay non siano schierati dalla parte degli uomini e contro il femminismo, al contrario.

Un’altra causa di questa abdicazione di Genere viene talvolta individuata nella distrazione da cui i maschi sono colpiti in forza del lavoro e del sesso. E’ una verità che le energie e l’attenzione che si indirizzano in una direzione non possono essere rivolte verso un’altra, ora, alla naturale incontentabilità umana si è aggiunta nel mondo moderno la spinta collettiva verso il successo professionale e il denaro, cui per molti si è sommata la necessità di rincorrere l’avanzamento economico delle donne con lo scopo, se non di superarle, almeno di starne alla pari per evitare di uscire del tutto dalla sfera del loro interesse. A ciò si deve poi aggiungere l’altra fonte di distrazione, il sesso in senso stretto ed in quando tale. Posti di fronte al contestuale richiamo del denaro ed al quotidiano sventolio delle mutandine, gli uomini hanno ben altro a cui pensare, cose ben più urgenti e importanti che non la riflessione sulle condizioni della loro esistenza e l’analisi degli scopi della loro corsa disperata nella vita. Inoltre, di fronte ai problemi sociali generali e alle prospettive della loro soluzione, essi sono ancora vincolati alle storiche categorie politiche che, pur sottoposte a revisione, condizionano tuttora la lettura del passato e del presente specie nei paesi maggiormente ideologizzati come l’Italia. Nella proiezione maschile verso l’operare nel mondo e nel cosmo e nel loro urgente bisogno di sesso risiederebbe dunque un’altra causa di questo sconcertante silenzio. 

Ma tutto ciò non basta a spiegare quello che è accaduto, ci devono essere altre cause. Non può però trattarsi della paura perché questa non ha mai frenato i maschi dal combattere per le più svariate e disgraziate cause, comprese quelle perse in partenza. Non può derivare dalla percezione di stare dalla parte sbagliata, dal sospetto che la causa maschile sia in sé e per sé indifendibile giacché hanno combattuto infinite volte a favore di cause cattive o pessime contro cause giuste e legittime. Non può nemmeno nascere da mancanza di interesse in quanto tutti capiscono bene che la posta in palio è il Potere, cosa cui gli uomini, si sa, tengono più che ad ogni altra, sesso compreso, come assicura quel detto siciliano. Non poteva venire, per dir così, da mancanza di odio antifemminile in quanto di misoginia in giro ve n’era e ve n’è a sufficienza per alimentare una forte, tenace e aperta resistenza. Eppure nessuno è uscito, nessuno esce allo scoperto a contrastare esplicitamente il femminismo, a denunciarne gli obiettivi veri, e perciò inconfessabili, o, almeno, a sfogare la sua rabbia ed il suo livore di fronte all’erosione e alla perdita dell’Antico Potere. Non si è visto niente di simile. 

Altre forze devono dunque essere in azione e le sole che rimangono sono la colpa e la vergogna. Solo la colpa, che esige espiazione, può dar ragione di questa stupefacente passività, di questa assenza di aperta opposizione e di palese contrasto, di questa inanità e con essa la vergogna che paralizza l’azione, come se, in un inconcepibile stravolgimento delle eterne regole d’onore, gli uomini si sentissero questa volta disonorati nel combattere e gloriosi nel disertare, come se in questa occasione trovassero infamante la lotta e onorevole la fuga, come se il criterio di viltà si fosse rovesciato e questa, anziché colpire i disertori, colpisse adesso i combattenti. La verità è che questa volta, la prima da sempre, si sarebbero trovati a combattere (se avessero combattuto, si capisce) non per Dio e per la Patria, per il Re e la Nazione, per la Giustizia e la Libertà, per i Padri e le Colline Nere, ma per se stessi e solo per se stessi. Non contro Draghi e Leviatani, Mostri e Giganti ma contro quella metà del mondo nel combattere la quale non si può raccogliere alcun onore. Non stanno davanti agli uomini le potenti armate di feroci nemici ma i volti accattivanti, i corpi disarmati e disarmanti delle madri, delle figlie, delle sorelle e delle amanti. 

Cos’è che li paralizza? A cosa sono dovuti l’impotenza, l’eterno accondiscendere, la pulsione a compiacere, l’ininterrotto cedimento e quello stupefacente silenzio? Alla colpa che pietrifica, alla vergogna che inibisce. La vergogna di difendersi, e prima ancora, di pensare di poterlo fare. Quando non si osa chiamare oltraggi gli oltraggi, insulti gli insulti, dileggio il dileggio, disprezzo il disprezzo, ricatti i ricatti, allora vuol dire che colpa e vergogna si sono impossessate di noi. La vergogna di percepirsi feriti, di sentirsi insultati, di protestarsi oltraggiati, di uscire sul prato a segnarvi i confini del nostro territorio, a piantare i paletti del nostro giardino, a stabilire da noi stessi cosa sia bene e cosa male per noi. Attaccati ma impossibilitati a difendersi perché è venuta meno la forza interiore che dovrebbe animare la risposta, non vi sono che due strade, due vie psicologicamente percorribili. La recita o il tracollo, l’indifferenza o l’implosione. La bancarotta.

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