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3.2c.8 Egoismo negato

A fronte di tutto questo si denunciano ogni giorno l’irresponsabilità e l’egoismo maschili e si trasformano quegli uomini che tentano di liberarsi di paternità non volute in altrettanti vigliacchi. Una simile denuncia sembra ragionevole: è troppo comodo sottrarsi alle responsabilità, alle conseguenze dei propri atti, ma poi si vede che questo problema per le donne non esiste perché esse possono sottrarsi alle conseguenze del loro comportamento attraverso l’aborto, l’anonimato al parto e, se si vuole, l’infanticidio su cui godono dell’impunità. Ecco dunque cosa accade: il Genere che si riserva sul piano morale, legale e fattuale il diritto di “cambiare idea” e di liberarsi a piacimento di una maternità non voluta, grida all’egoismo ed al tradimento di fronte al tentativo maschile di fare altrettanto nel solo modo possibile, trascurando i figli dopo nati. 

Il disconoscimento di maternità è sempre letto come una scelta cui la donna è costretta dalle condizioni personali o sociali, mentre il tentato disconoscimento di paternità trova le sue origini nell’egoismo. Prova inconfutabile di questa disimmetria valutativa (una disimmetria nel valore) è che neppure i più accaniti antiabortisti accusano mai le donne di egoismo, neppure i più tradizionalisti tra i cardinali cattolici, e nemmeno il Papa, mai hanno osato far riferimento o allusione all’egoismo femminile, come se ci trovassimo di fronte ad un tabù: le donne sono costrette a disconoscere la maternità. Questa distorsione ottica è applicazione del principio secondo cui laddove e quando le donne si comportino in modo reprensibile ciò è dovuto a cause esterne, alle condizioni sociali, non al loro egoismo o alla loro malvagità. Si tratta di un postulato che presiede alla valutazione di tutti i comportamenti femminili indiscriminatamente, si tratti dell’aborto o dell’infanticidio, della prostituzione o del divorzio, delle nudità che invadono le città e gli spettacoli o dei maltrattamenti a danno dei figli e dei mariti e che include pure tutti i reati contro il patrimonio o le persone. 

Quando una banda di giovinastre terrorizza, picchia e deruba un gruppo di coetanee si afferma che “hanno imparato dai maschi”, quando una donna avvelena il marito e lo seppellisce in cantina subito i cronisti ci fanno sapere che si trattava di un bruto del quale ella non sapeva come liberarsi.i Si è giunti al punto di affermare che quella donna che assassinò figlio e marito nell’autunno del 2001 lo aveva fatto “per evitare che soffrissero” (fu un uomo a dirlo) e non c’è infanticidio che non venga prontamente giustificato da eminenti psicologi. Ma una donna che abortisce o che impone la paternità non lo fa forse in relazione al suo bene ed al suo male? Non tiene conto dei suoi bisogni, delle sue aspettative, delle sue possibilità, non calcola secondo il suo tornaconto ed i suoi interessi? Certo non fa riferimento a quelli maschili e nel caso dell’aborto neppure a quelli del nascituro, che pure dovrebbero avere un qualche peso. Se e quando i maschi avranno il potere di disconoscere legalmente la paternità, allora e solo allora i padri “che se ne fregano” (i deadbeat-dads) potranno e dovranno essere sanzionati e perseguiti come vili e fedifraghi. 

Ora, poiché a fronte della totale assenza di diritti sta un cumulo di doveri non sarà eccessivo affermare che il valore degli uomini in questo ambito corrisponde alla metà di zero. Essi non sono altro che macchine da reddito a beneficio di quella donna con la quale hanno giaciuto anche una sola volta, e ciò per anni, per decenni o per sempre. Una sentenza dell’aprile 2003 stabilisce che il diritto femminile al mantenimento non va correlato alla durata della convivenza, anche soli sette mesi di matrimonio sono sufficienti a garantirglielo, giacché il diritto morale alla rendita nasce al momento del ‘Sì’, come chiarisce il vescovo di Como, Mons. Maggiolini, che invita il reverendo Milingo ad adempiere sine die ai suoi obblighi verso la Signora Sung.ii Tutta la psicologia poteva facilmente prevedere quali sarebbero state le conseguenze profonde ed i deleteri effetti sul piano simbolico di questo sradicamento originario, di questa espulsione dalla decisione fondamentale. Se essere importanti è importante, se essere utili dà Senso niente è più tragico e più grave per i maschi di questa castrazione, niente è più radicalmente capace di renderli vani, superflui e ridicoli di fronte a se stessi. L’arma dell’Insenso. 

i Nell’ordine: “La Repubblica”, 5.12.1998, p. 29 e stessa testata 10.04.03, p. 22.
ii “Corriere delle Alpi”, 6.09.2001. Tempo dopo veniva sentenziato che anche la mancata convivenza era irrilevante, vedi nota n. Errore: sorgente del riferimento non trovata.

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