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3.4.10 Neoplasia dell'anima

Si sa che l’arte, al pari della filosofia, va per il mondo povera e nuda perché pochi, tra quelli che la coltivano, ne traggono di che vivere dignitosamente. Di ciò fece esperienza quel mio amico, attivo nel mondo delle arti drammatiche, il quale, avendo sposato una donna di altissima famiglia, ricca di denaro oltreché di cultura, una “donnissima”, così si confessava: “Quando devo chiedere del denaro a Flavia non mi sento niente bene. La cosa mi infastidisce, in qualche modo mi umilia. So che non dovrebbe essere così perché le donne sono state economicamente dipendenti per secoli e se ora tocca a noi non è il caso di aversene, nondimeno questa cosa non mi va giù, non riesco a digerirla. E’ il segno che il maschilismo che abbiamo dentro di noi è duro a morire”. La profondità dell’affermazione è tale che qualcosa potrebbe sfuggirci. Il Bruno non solo ha affermato che la sua dipendenza dovrebbe essere sopportata di buon animo ma ha detto molto di più affermando che non dovrebbe sentire il disagio che sente. Egli riconosce bensì alle donne economicamente dipendenti dal marito (del passato e del presente) il diritto di sentire come inferiorizzante quella situazione e di soffrirne, ma nega a se stesso quella stessa facoltà attribuendo la sua sofferenza alla sola causa possibile, il maschilismo di cui è “intriso”. La negazione della propria esperienza, l’automenzogna originaria come titolo di eccellenza morale, neoplasia dell’anima che porta il nome di salute. Incantevole fenomeno che accade senza esser mai stato vagheggiato, portentosa realtà la cui magia ci stordisce.

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