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3.3.2 Vergognosa paura

Si tiene una conferenza sui rapporti di Genere davanti a centinaia di persone, giunti al tema della paura, dopo averne ragionato un po’, una relatrice si rivolge al pubblico e chiede, sorridendo: “C’è qui qualcuno che abbia paura delle donne?”. La risposta è una risata collettiva. A parte il pubblico femminile compiaciuto, gli uomini si collocano su queste posizioni. Al centro sta la massa di coloro che non si sono mai ascoltati, che non hanno mai prestato attenzione a quel che accade dentro di sé e perciò non sanno cosa dire, poi ci sono coloro che fingono di non averne perché legati al vecchio concetto che vuole gli uomini senza paure e che perciò rispondono ridendo, infine ci sono quelli che non vedono le ragioni per le quali dovrebbero aver paura delle donne e che percepiscono come originato dalla misoginia un simile eventuale sentimento, sono questi i mansueti. Tutti sorridono con aria di sufficienza, per ragioni diverse né questi né quelli osano alzarsi a proclamare che hanno paura delle donne perché tutti sanno che una simile dichiarazione sarebbe accolta da caustici commenti e da acidi sorrisini, due modi con cui gli umani istituiscono la vergogna e tengono al “loro posto” coloro che vorrebbero rompere i tabù ed infrangere le regole. Nessuno si azzarda a dire ‘sì’. E’ la vergogna di proclamarsi intimoriti che obbliga a ridere della domanda e la vergogna esige, per la salvaguardia della propria autostima, di essere negata. 

Nessuno dei maschi presenti riconoscerà davanti a se stesso di tacere per tema di venire ridicolizzato, nessuno ammetterà che a chiudergli la bocca è la certezza di venire schernito. In tal modo la domanda della relatrice si svela per quello che è: non un invito ad esprimere i propri sentimenti, la loro vera esperienza, ma un modo per esercitare in quel preciso momento, ancora una volta, il potere della vergogna, per ferirli impedendo loro di difendersi.

Da che mondo è mondo, il far paura, mentre è certamente prova della propria forza e quindi può fornire motivo di orgoglio al potente, è anche capo di imputazione contro chi la suscita ed a maggior ragione ciò dovrebbe valere per il femminismo che ha tra i suoi obiettivi anche quello di far scomparire questo male dal mondo. Se però si assume che la paura che gli uomini provano di fronte alle donne trova la sua origine in loro stessi diventa possibile usarla nel conflitto come motivo di derisione e capo di imputazione. La verità canonica dice che i maschi hanno bensì paura della donna ma che ciò deriva dai loro pregiudizi, dalla concezione storica di essa come una entità perfida, malvagia e pericolosa, l’eterno “instrumentum diaboli”. Vi sono dunque nel mondo due categorie di paure, quella che i forti, i maschi, suscitano nei deboli, nelle donne, negli inermi, un male che deve essere eliminato e di cui gli autori sono colpevoli e quella che i maschi provano di fronte alle femmine, ma questa non è imputabile ad esse, bensì ancora una volta agli uomini. In fondo che cosa possono aver da temere questi dalle donne? Non possono essere maltrattati, picchiati, molestati o violati, si tratta perciò di una paura infondata, irrazionale e, per quanto riguarda il nuovo potere femminile, non esiste alcuna fondata ragione per temerlo dal momento che lo scopo del femminismo non è quello di nuocere, gli obiettivi delle donne non sono simmetrici a quelli maschili.

La verità annunciata nel titolo e racchiusa nel libro della Valentini è che gli uomini non devono avere paura, se ne hanno la colpa è loro ed in ogni caso si tratta di un passaggio forse doloroso ma inevitabile. La loro vera paura proviene dal timore di perdere i privilegi perciò quel loro sentimento, pur non essendo forse una buona cosa in sé, è una sofferenza necessaria per la maturazione della loro “nuova identità”, della loro conversione.

Eppure è vero, i maschi hanno paura, essi temono il male che può venir loro dalle femmine, temono le canzonature pubbliche, le colpevolizzazioni private, le imposizioni di paternità, le denunce per abusi, maltrattamenti, molestie e stupri, la perdita della casa e dei figli, l’erratica sanzione dei loro comportamenti, il ricatto morale delle madri e quello sessuale delle mogli, le speculazioni delle amanti, le manipolazioni delle colleghe, le vendette delle dirigenti. Hanno paura del male che può esser fatto loro con la decurtazione dei loro risparmi e del loro reddito, con l’oltraggio dei loro sentimenti, con la minaccia della vergogna e della rovina. Hanno paura perché sentono e sanno che contro quel potere, contro quel male reale e possibile non esiste alcuna difesa. Bisogna chiedersi però come sia stato possibile che le donne, queste creature piccole ed indifese, prive di ogni potere (senza spada, senza borsa, senza poltrona) siano giunte a rendersi tanto temibili. A ciò sono arrivate abolendo ogni confine tra il lecito e l’illecito nella relazione tra i sessi, cancellando ogni definizione di discriminazione, di offesa, di maltrattamento, di molestia e di stupro e trasferendo nell’area della violazione sessuale ogni possibile torto, disturbo, fastidio. Ogni confine è stato abolito così che gli uomini non sappiamo mai se vanno incontro all’approvazione o alla condanna ed alla rovina. E’ stata fondata in tal modo l’era dell’intimidazione permanente in ogni luogo di interazione tra i sessi, camera da letto compresa.

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