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3.3.19 ll vissuto maschile - Fugamariti

A fronte delle sofferenze femminili stanno quelle maschili, che valgono come ora vedremo. Nell’aprile del 2000 una sentenza della Cassazione stabilì che il marito che se ne va di casa è penalmente perseguibile se lo fa senza il permesso della moglie o del magistrato.i D’acchito si è tentati di condividerne lo spirito; in fondo, sposandosi, un uomo si assume delle responsabilità cui non può venir meno da un giorno all’altro. Ci si aspetta che formalizzi la sua intenzione con una domanda di separazione o, almeno, che preavvisi la moglie. Ma, ovviamente, quel che vale per gli uomini non vale per le donne. Si riconosce universalmente ad una donna il diritto di sottrarsi in qualunque momento ad una situazione che essa ritenga intollerabile senza doverne chiedere l’autorizzazione al marito (ci mancherebbe) e senza darne informativa al magistrato. Essa decide, in piena autonomia, se e quando e come una relazione debba essere interrotta al fine di sottrarsi a violenze fisiche o morali, reali o temute. Essa decide autonomamente se mandar via il marito o se andarsene dal tetto coniugale senza che alcuno possa sindacare sulle motivazioni, in una parola, essa è la misura di se stessa, del suo male e del suo bene. 

Nel caso del maschio, invece, le valutazioni che egli dà sulla tollerabilità del rapporto, sulla gravità delle proprie sofferenze, sull’insostenibilità psicologica e morale della convivenza o addirittura sui maltrattamenti fisici che subisce (perché, sorprendentemente, esistono anche quelli delle mogli sui mariti) e sulle modalità della rottura, non hanno alcun valore. E’ qualcun altro, il magistrato, la moglie, che valuta, che pesa, che stabilisce il grado di quel male. Due categorie di sofferenze: quelle la cui determinazione, giustamente, sta nelle mani delle donne, e quelle maschili, che, oggi altrettanto giustamente, stanno in mani altrui, come se vivessimo in un mondo in cui la donna è la misura del proprio bene e del proprio male mentre l’uomo non è titolare delle sue sofferenze, dei suoi disagi, dei suoi mali e perciò nemmeno della scelta sui tempi e i modi di porvi termine. 

La citata legge sull’allontanamento del marito non parla però al maschile ma genericamente del “familiare”, mascheratura beffarda dello stato delle cose giacché dà ad intendere che le parti potrebbero essere invertite, come se il maschio, che non ha il diritto di andarsene di casa, possedesse quello di cacciarne la moglie.

i “Il Gazzettino”, 21.04.2000.

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