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3.8b.1 Morte del pioniere

Dai giorni in cui Francesco Bacone teorizzava la Grande Conquista sulla natura, quattro secoli fa, l’umanità ha decuplicato le sue dimensioni e non vi è angolo del globo che non ne abbia subìto l’espansione. Benché non manchi chi lo valuti positivamente, non si può negare che vi sia in questo processo e nei suoi esiti qualcosa che ci disturba e forse ci imbarazza, un sentimento di disagio che si manifesta vagamente sul piano estetico e che Emile Cioran ha espresso lapidariamente: “L’orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo”.i La diffusione degli umani su tutto il globo terrestre, a prescindere dal come è avvenuta, ha causato la scomparsa delle terre ignote, di quegli spazi verso i quali da decine di migliaia di anni era rivolta la pulsione alla ricerca, all’espansione, all’avventura con la quale i maschi mettevano alla prova, in modo perfettamente integrato, intelligenza, coraggio, disponibilità al sacrificio e prestanza fisica, in un fervore che garantiva alla comunità di appartenenza, ed alla fine all’intera specie, la conquista di nuove terre in grado di nutrire le generazioni future, pulsione filogenetica vissuta individualmente e collettivamente come slancio vitale emotivamente denso di significati.

Con la scomparsa delle terre inabitate la dimensione dell’ignoto è uscita progressivamente intaccata ed alla fine distrutta. Tutto il pianeta è oggi occupato dagli umani e “le terre vergini” sono diventate un sogno perduto, un’immagine carica di rimpianti e di nostalgia. Una castrazione psicologica senza precedenti, una perdita che si è cercato di surrogare con l’immagine della conquista dello spazio galattico, tentativo velleitario di sostituire quel che fu realmente vissuto e sperimentato con un’alternativa vaga e indeterminata confinata nel mondo della celluloide. Gli orizzonti del sogno d’avventura sono evaporati perché non vi è ormai più terra dove andare; è la scomparsa del pioniere, della sua stessa possibilità d’esistenza, della luminosità di un’esperienza possibile che è venuta meno e che impoverisce l’universo simbolico nel suo versante maschile. E’ impossibile qualificare e quantificare gli effetti di una simile perdita ma è certo che non sono nulli e che vanno ad intaccare direttamente un aspetto specifico della maschilità.

i “La scomparsa degli animali è un fatto di una gravità senza precedenti. Il loro carnefice ha invaso il paesaggio; non c’è posto che per lui. L’orrore di vedere un uomo là dove si poteva contemplare un cavallo.” E. M. Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi, Milano 1986 (1969) p. 124.

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