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3.7.7 Paternità sociale e naturale

Vi è accordo generale sul fatto che mentre la maternità (filiazione femminile) è biologicamente fondata (generazione) la paternità è un costrutto sociale, che madri si diventa con la gravidanza e il parto e padri invece attraverso l’assunzione di quelle forme comportamentali e relazionali (e perciò psicologiche) che le diverse culture trasfondono negli uomini. Ma di quale paternità si può parlare all’ombra del Dogma Centrale? In cosa si caratterizzerebbe? In nulla di invariante, di universale, essa cambierebbe e potrebbe cambiare a piacimento assumendo le più svariate forme. A che titolo e per quale motivo allora questi infiniti modi di essere e di comportarsi del maschio generante (o non generante) dovrebbero essere qualificati come paterni? Non vi è alcuna ragione per chiamarli in quel modo. E’ poi vero che se non vi sono differenze naturali tra i sessi generi quel che può essere/fare un padre lo può anche la madre, o una qualsiasi altra donna, come abbiamo ampiamente esaminato, al punto che non si può nemmeno parlare di “assenza del padre”. Fuori del Dogma Centrale non è però difficile vedere in cosa consista quella paternità. Essa risiede nell’applicazione delle qualitas maschili alla relazione con le nuove generazioni, nell’espressione delle determinazioni specifiche dei maschi nel percorso formativo dei figli e qui si manifesteranno quelle invarianti profonde che, omologhe ed equivalenti in tutte le culture perché assolventi alla stessa funzione, esprimeranno appunto le specificità del genere maschile in campo educativo. Queste saranno le qualificazioni della paternità, costrutto sociale sì, ma coagulabile esclusivamente attorno ad un maschio adulto, non mai ad una femmina.

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