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3.7.2 Esproprio

In tutto l’Occidente nella seconda metà del Novecento l’aborto è stato legalizzato e tutte le legislazioni escludono completamente il padre da ogni decisione al riguardo. Stiamo parlando della decisione essenziale sulla radice stessa della paternità, il momento originario sul quale le donne hanno il monopolio assoluto della scelta e da cui il maschio è radicalmente estromesso. In quanto centro di scelta egli semplicemente non esiste e la sua volontà vale zero. All’uomo è stata dunque confiscata la parola sulla decisione più importante della vita, la sola irreversibile, atto primario e fondativo della paternità. Non è possibile immaginare un esproprio più radicale e originario per il semplice fatto che non può esisterne l’equivalente; i presupposti etici e le conseguenze psicologiche sono dello stesso rango, estreme e irrimediabili. Con tale atto legislativo i maschi sono decaduti dal rango di gestori della paternità e di cogestori della generazione trasformandosi in meri esecutori di una volontà che li sovrasta e che trasforma la donna in madre della stessa paternità

Nell’ordine simbolico, e perciò nelle sue conseguenze profonde, l’effetto è straordinario giacché corrisponde alla sottomissione di un principio ad un altro, di quello paterno a quello materno, alla cacciata del Padre dall’universo del Senso. La codificazione legale di una simile espulsione è ovviamente il maturato di una evoluzione dei rapporti intersessuali molto lunga che la precedette, manifestazione di un crollo morale che doveva essere già avvenuto, approdo di una deriva iniziata almeno un secolo prima. 

L’ipotesi che i maschi possano avere voce in capitolo su una decisione di tale portata esula persino dall’immaginario. Quelli che si oppongono all’aborto del loro figlio, anche assumendosene in toto l’onere della cura e del mantenimento, non riescono nemmeno a pensare a quale istanza rivolgersi dal momento che le loro ragioni sono semplicemente irricevibili e che non esiste norma che le prenda in considerazione. La sensibilità femminista sul punto è estrema e le campagne di denigrazione degli interessati scattano istantaneamente allorché un maschio, ingenuo e temerario insieme, osa pretendere di far valere la sua volontà. Questi gesti suscitano un gravissimo imbarazzo in quanto manifestano come meglio non si potrebbe l’esproprio che gli uomini subiscono, contraddicono il dogma dell’egoismo maschile e svelano il fatto che, anche quando non esistono più motivi per abortire (perché rimossi ogni responsabilità ed onere) alla donna rimane comunque il potere di esercitare una scelta a danno del nascituro e ad onta della volontà paterna, espressione di un dominio etico spinto sino ad una impudenza e ad una tracotanza morale che non potrebbero essere maggiori. Questi casi vengono anzi rivoltati contro gli uomini usando la loro rarità come ennesima prova dell’egoismo maschile con la cinica ed altezzosa domanda: “Come mai sono così pochi quelli che si fanno avanti?” e denunciati come forme surrettizie di attacco all’aborto. 

Ma la rivendicazione del diritto opposto, quello al disconoscimento della paternità, non può venire trattato meglio, la stessa ipotesi di un diritto maschile simmetrico all’aborto non è neppure immaginabile. Così, mentre le vane richieste dei padri che vogliono impedire l’aborto suscitano scandalo quelle di coloro che vogliono disconoscere la paternità sono semplicemente inaudite. Nel momento stesso in cui le donne hanno ottenuto il diritto di decidere della loro vita hanno impedito agli uomini di fare altrettanto fondando in tal modo la dipendenza maschile su un punto capitale. Così lo slogan perentorio “L’utero è mio e me lo gestisco io” con il quale le donne esprimono il loro diritto a non dipendere da nessuno nasconde la loro volontà di imporre agli uomini quel che esse stesse rifiutano e dissimula la cacciata del padre dall’orizzonte simbolico. Autocrazia riproduttiva per l’autocrazia morale.

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