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2.7.6 La ricostruzione del vissuto maschile e della storia

Il principio secondo cui non esistono effetti non voluti, che ogni risultato deriva da una volontà orientata a quel fine, permette di procedere a ritroso, di partire dall’effetto per risalire alla volontà dell’agente. Gli effetti nocivi saranno allora inevitabile esito di una volontà cattiva e quelli buoni di una volontà orientata al bene, in tal modo tanto la storia nel suo insieme quanto i gesti quotidiani diventano espressione dell’orientamento a nuocere o a beneficiare. Dal tipo di affezioni che mi colpiscono io posso intuire lo stato intenzionale del prossimo e quindi descrivere quale fosse la sua vera volontà negando la sua versione, sostituendomi a lui nel descrivere la sua esperienza. 

Da qui trae origine la descrizione della storia come esito di una volontà di prevaricazione universale nella quale tutti i limiti, i condizionamenti, le impossibilità, ed ovviamente le sofferenze che hanno colpito gli umani, non sono soprattutto il frutto di limiti materiali, di eventi casuali o di inderogabili fredde necessità, ma di un progetto, in parte oscuro, che quei mali e quei limiti prefigurò. E’ in questo modo che viene stabilita la colpevolezza originaria del genere maschile. Ogni limite, ogni condizionamento, ogni male del Passato, dell’Altrove e dell’Attuale che le donne abbiano subìto deriva dalla volontà maschile e tutta la storia è storia della manifestazione della volontà di perpetralo, storia della “peste misogina”. 

Il femminismo non afferma però che i maschi siano naturalmente cattivi ma che abbiano subìto una sorta di degenerazione che li ha portati ad essere ciò che sono, ad abusare della loro prestanza fisica per acquisire il monopolio del potere e usare le donne come strumenti di servizio e di piacere. Come fu per il movimento democratico, il socialismo, il marxismo e come è oggi per tutta la Sinistra comunque denominata, anche per il femminismo gli umani sono fondamentalmente buoni e qui trova giustificazione il progetto della loro conversione ( l’ “uomo nuovo”) che mira a ricondurli all’originaria condizione dalla quale tralignarono. 

La GNF si distacca però dal marxismo per il quale lo sfruttamento del proletariato praticato dalla borghesia non dipendeva dalla volontà di questa classe ma era consustanziale al sistema capitalistico il quale a sua volta non era nato per scelta o per volontà di chicchessia ma come esito inevitabile del processo storico. La nascita del capitalismo non era imputabile a nessuno, non vi fu una volontà cattiva a crearlo, per questa ragione il marxismo non ha mai inteso convertire la borghesia, ma combatterne il potere, distruggerne il sistema; per il femminismo, invece, gli uomini vogliono fare il male che fanno perciò sono colpevoli. La definizione della volontà maschile come orientata al male è imprescindibile, infatti, mentre imputazione (e condanna) in campo civile non richiedono la presenza di una volontà di nuocere quella penale ne tiene conto e quella morale la esige necessariamente ed il principio animistico offre appunto la possibilità di ridescrivere e ricostruire quella cattiva volontà. Porre il mio vissuto come metro di valutazione dello stato interiore altrui conduce a dei paradossi e a delle assurdità, che pur essendo logicamente inconcepibili, formano la trama dei rapporti tra i sessi. Dal fatto che un gesto o una parola producano sulla donna una data sensazione anziché un’altra si può ricavare il diverso stato della volontà del maschio: se il gesto sarà gradito vorrà dire che egli è buono, se risulterà sgradito significherà che costui è cattivo.

E’ dunque chiara la funzione di questo sistema valutativo che fonda i suoi giudizi sul vissuto delle donne, esso garantisce la loro ingenua innocenza ed in pari tempo la colpevolezza maschile. La stessa strada che conduce le donne occidentali verso il paradiso dell’innocenza porta gli uomini verso l’inferno della colpa.

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