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2.7.5 Filosofia dell’intenzione

L’animismo (stato psicologico e condizione culturale che attribuiscono ad ogni oggetto e ad ogni evento un’anima, un centro dotato di intenzioni), rappresenta uno stadio evolutivo che precede lo sviluppo pieno della coscienza e della sua capacità di oggettivizzare, di ammettere nel cosmo l’esistenza di entità sottoposte alla sola legge della causalità (causa efficiente) senza essere guidate da scopi ed intenzioni (c.d. causa finale). L’abbandono del finalismo è stata una precondizione per la nascita delle scienze le quali si fondano sul principio che la natura deve essere riguardata secondo le leggi della causa e degli effetti, “iuxta propria principia”, non secondo i nostri, come insegnava Telesio. Dal punto di vista del cuore però, se le cose del mondo vanno male, la causa deve essere ricercata nella volontà di coloro che lo guidano. Questa visione delle cose è ingenua, spontanea e naturale come prova la facilità con la quale veniamo adescati da propagandisti e profeti quando gridano che la causa di tutti i nostri mali risiede in agenti (uomini, spiriti, dèi) mossi dalla volontà di nuocere, gli “untori”. Da dove potrebbe venire il nostro male se non dalla volontà cattiva di un qualche essere, da un cuore malvagio? 

Ora, l’uscita dalla concezione animistica è il tragitto percorso dal genere umano verso l’oggettivizzazione della natura sino al pieno sviluppo della coscienza, all’apertura verso il mondo azzurro di Noosfera, acquisizione incerta e precaria che sul piano simbolico viene assimilata alla stazione eretta, condizione instabile per perdere la quale basta pochissimo. Vacillante e caduca già in quel continente che dovrebbe essere il suo, la concezione causalistica della storia e della quotidianità è del tutto estranea al mondo rosa. In questa estraneità profonda alla dimensione della causa gelida ed impersonale si radica la centralità del vissuto femminile divenuto termine di riferimento di tutti i rapporti tra i sessi. Ma la posizione animistica non è solamente un modo ingenuo di interpretare il mondo, essa è stata integrata esplicitamente nella filosofia femminista (in Italia da Adriana Cavarero)i nella forma di un “principio di disposizione” secondo il quale gli effetti delle azioni dipendono dalla buona o dalla cattiva disposizione d’animo. L’uomo ben-disposto non provoca mali, tesi parallela al pensiero di altra filosofa, Simone Weil, la quale, come noto, sostiene, con disarmante ingenuità, che il bene genera il bene ed il male il male. Il genere femminile, interpretando il mondo secondo i dettami del cuore, esige di essere giudicato sulla base delle sue intenzioni e della sua esperienza interiore e con questo stesso criterio giudica se stesso. Stabilito questo e considerato che agli occhi di chi agisce i propri intendimenti paiono sempre buoni, viene aperta la via di una illimitata, universale ed ineffabile innocenza che mai potrà essere scalfita dalla colpa.

i “Micromega - Almanacco di filosofia”, supplemento al n. 1/1997, pp. 91 e ss.

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