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3.6.10 Voci dal sen fuggite

Il principio della Parità Ormonale, avendo la consistenza che ha ogni verità utile, è smentito di frequente indirettamente, ma non perciò meno significativamente, da affermazioni apparentemente innocue, da battute di uso comune e talvolta persino dalle stesse femministe attraverso certi lapsus che, nella foga della polemica antimaschile, prorompono come voci dal sen fuggite.

Se il reciproco desiderio tra femmine e maschi fosse dello stesso tenore nessuna delle due parti avrebbe in mano nulla che possa trasformarsi in arma contro l’altra eppure è proprio questo il termine che Donata Francescato usa nel suo pamphlet sull’amore e sul potere, quando appunto ammette che “ci sono donne che usano l’arma del sesso”,i una vera e propria gaffe: se non esistono differenze ormonali con cosa sarà stata foggiata l’arma di cui si parla? 

E’ ben nota poi la battuta con la quale, per definire un maschio tonto sino al patetico, si dice che “per far dispetto alla moglie si taglierebbe il pisello” facezia il cui simmetrico “per far dispetto al marito si cucirebbe la vulva” è invece una minaccia. Si sente parlare qualche volta dello “sciopero del sesso” ipotesi ventilata talvolta sotto forma di scherzo da parte delle donne, spauracchio il cui reciproco non si riesce ad immaginare. Se per le donne l’attività sessuale fosse qualcosa di collaterale cui possono rinunciare senza troppa fatica o addirittura con un senso di liberazione mentre per gli uomini costituisse un enorme sacrificio, una sofferenza al limite del tollerabile, allora l’idea dello sciopero del sesso da parte maschile sarebbe assurda e ridicola, come infatti è. Il principio della Parità Ormonale, parte integrante della GNF, è un leitmotiv che non smette mai di essere ricordato come succede per tutte quelle verità cui si deve credere contro ogni evidenza ed ogni esperienza; accade però che mentre a pagina uno si deride chi crede ancora alla disparità ormonale due pagine più avanti si proclami la sua esistenza (perché le verità utili hanno le gambe corte, come fossero bugie). Ecco dunque che mentre la psicologa risponde ad una lettera denunciando il “luogo comune duro a morire” secondo cui alle donne il sesso interessa poco o niente qualche pagina più avanti il maschio pro feminist di turno, parlando della dura vita delle mogli dei soldati Usa, afferma che “molte di loro hanno minacciato appunto lo sciopero di Lisistrata   niente amore finché c’è guerra”. L’ipotesi non è più solo una battuta (che sempre giova a ricordare ai maschi chi tenga il manico del coltello) ma viene agitata qui come possibile strumento di lotta, per quanto lontano e vago, in un frangente specifico. Il giornalista (Ennio Caretto) ci ricorda che l’idea di quello sciopero è cosa molto antica che egli modernizza denominandolo pudicamente “amore”, nel goffo tentativo di celarne il carattere ricattatorio, aggravando candidamente l’impietoso cinismo di quella prospettiva.ii In occasione della giornata dell’Otto marzo 2003, trascorsa nell’imminenza della seconda guerra del Golfo, il femminismo internazionale ha organizzato in ottocento città dell’Occidente la rappresentazione simultanea della commedia di Aristofane, iniziativa del resto non nuova dal momento che fu lanciata in Italia, da Treviso a Siracusa, già in occasione dell’Otto marzo del 1988 come strumento di lotta contro la violenza sessuale.iii

“Chi non lavora non fa l’amore” cantavano Adriano Celentano e Claudia Mori trent’anni fa, parole di una moglie che si rivolgeva al marito impegnato negli scioperi operai degli anni Settanta, confessione espressa senza alcun imbarazzo, senza alcun pudore e   quel che più conta   senza alcuna denuncia da parte femminista, illustratrice di una condizione che i maschi vivono in modo diffuso, amara realtà per pochi e intimidatoria eventualità per tutti. Nessuno è in grado di immaginare la sua applicazione speculare, dove un maschio casalingo e mantenuto minacci la moglie di non fare più sesso se questa insiste a scioperare. 
 
Una nuova malattia chiamata pudicamente “anoressia sessuale” è apparsa in Occidente sul finire del XX Secolo. Con quella espressione si fa riferimento al fatto   evidentemente innegabile   che il desiderio femminile di sesso non risulta tanto diffuso e pervadente come “dovrebbe” essere, mentre invece tanto le statistiche quanto le lettere delle lettrici ai loro rotocalchi come anche le sale d’attesa degli psicologi parlano di una distrazione, di un disinteresse che il citato principio non può in alcun modo spiegare. Secondo quella interpretazione il genere femminile appena raggiunta la condizione di libertà sessuale nella quale poter dar finalmente libero corso alla naturale pulsione repressa per secoli sarebbe incappato in questa nuova malattia, in questa fastidiosa inappetenza che colpirebbe in America un terzo delle donne, per spiegare la quale corrono psicologi a fornire giustificazioni scientifiche miranti tutte a celare l’altra possibile verità e cioè che il sesso   in quanto tale   alle donne non interessa, anzi no, che interessa davvero ma che da esso si ritraggono perché si sentono usate, sensazione che gli uomini in effetti non provano mai (in quel campo).iv

Niente meglio delle gaffe svela quelle verità profonde che la GNF deve negare. Commentando l’omicidio commesso da un pensionato della marca trevigiana ai danni della moglie che voleva separarsi da lui, la psicologa femminista Alessandra Graziottin compara il male estremo inflitto alla donna con la quantità di benefici che l’assassino aveva invece ottenuto da lei, tra cui compare anche l’appagamento sessuale,v gratificazione che evidentemente era andata in una sola direzione dandosi per scontato che dal sesso la donna non avesse tratto alcuna soddisfazione e rappresentandone l’esercizio come un onere connesso alla convivenza, un prezzo da pagare, nuovo caso in cui la sola ipotesi della parità del desiderio-bisogno diventa risibile e grottesca. Uomini e donne da sempre si accusano reciprocamente di egoismo e pongono in rilievo i loro diversi difetti in tutti i contesti e modi possibili, tanto descrivendoli nei romanzi quanto facendone argomento di battute quotidiane. E’ ovvio che il tipo di tema scelto in questa schermaglia, oggi diventata guerra, discende dalla diversa posizione dei due riguardo a tutti gli aspetti della vita ed è appunto in questo contesto che maturano quelle tragiche gaffe che tradiscono verità dannose. Eccone un’altra. Nel descrivere la loro triste condizione ed i loro sacrifici a fronte dell’egoismo dei loro mariti, le mogli degli emigranti di questo lembo del Nordest (all’epoca della pellagra) non mancavano di segnalare l’una all’altra il fatto che rimanevano incinte per colpa dei loro uomini i quali, rientrando a casa dopo tre o sei mesi di assenza, usavano sottoporle ad un tour de force del sesso da cui troppo spesso uscivano ingravidate: “Quando sono via fanno i loro comodi e poi tornano a casa per metterci incinte”. Nella descrizione della loro triste condizione queste donne (che vivevano delle rimesse del marito senza però averlo tra i piedi di giorno e tra le gambe di notte) dimenticavano regolarmente di includere l’assenza del sesso. Sino a non molto tempo fa le amiche della puerpera usavano ricordarle che per almeno quaranta giorni il marito doveva astenersi da ogni rapporto (“deve lasciarti in pace”) e lo segnalavano pubblicamente per ricordarlo agli adulti ed insegnarlo ai ragazzini, proibizione che in alcune culture si estendeva sin quasi ad un anno.vi Un noto psicoterapeuta - di cui non voglio ricordami il nome - affermò testualmente che il sesso: “...spesso, se non sempre, è la marchetta che le donne pagano per poter mantenere la relazione”. 

i D. Fortunato, Amore e potere, op. cit.
ii Ennio Caretto su “Io Donna” del 22.09.2001, p. 46, dove sottolinea che la vita delle mogli dei militari è “la più difficile che possa capitare ad una donna fuori dai ghetti neri o ispanici” in quanto, tra l’altro, “costrette a convivere con l’ipotesi di poter restare vedove”.
iii “La Repubblica”, 6/7 marzo 1988, p. 16. Articolo dal titolo No alla violenza, sciopero del sesso.
iv “La Repubblica”, 26.10.2000, dove si informa che il 33% delle americane tra i 18 ed i 59 anni soffre di tale inappetenza. La psicoterapeuta M. R. Parsi commenta: “...è una forma di ribellione a tutto ciò che le donne avvertono come uso/abuso del corpo”.
v “Il Gazzettino”, 11.05.1999, prima pagina.
vi M. Mead, Sesso e temperamento, Il Saggiatore, Milano 1994 (1935), p. 65, dove il riferimento va alla cultura Arapesh nella quale gli incontri erano tabù sin quando il bambino non avesse incominciato a camminare.

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