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2.4.2 Dipendenza materiale e dipendenza morale

Dalla nascita della società industriale le donne sono state economicamente dipendenti dall’uomo, condizione che la GNF descrive (e non può essere altrimenti) non come conseguenza della pura e semplice mancanza di possibilità occupazionali compatibili con la struttura fisica femminile ma come stato di cose esplicitamente finalizzato alla sottomissione delle donne. In quella società il reddito era procurato dal marito e da ciò derivava quella dipendenza economica fondamento della sua subalternità della quale la donna doveva liberarsi attraverso l’ ‘emancipazione’, l’acquisizione di un reddito autonomo. Questo articolo di fede si fonda su un radicale stravolgimento della realtà, sulla convinzione che colui che porta a casa un reddito ne sia anche il titolare, sulla certezza che chi dà del denaro ad un altro gli sia per ciò stesso sovraordinato. Una confusione quanto mai utile tra dipendenza materiale e dipendenza legale, morale e psicoemotiva origina e dissimula questo mito universale.


Chi procura il reddito è il padrone: questo è il dogma, ma la solare evidenza di questo fatto nasconde l’altra verità e cioè che il portatore di reddito ha un potere se e solo se può evitare di portarlo, quando invece non ha scelta, quando egli deve procurarlo perché non ha alternative, allora egli non ha in mano alcun potere e non sta in posizione sovraordinata, al contrario, è questo procacciatore di denaro che sta in posizione subordinata. Chi materialmente non può sottrarsi ad un obbligo non è libero e non lo è per definizione. 

Esiste una dipendenza economica puramente materiale, totalmente svincolata da ogni dipendenza psico-emotiva e ne esiste una relazionale, morale e legale, la sola che conti nei rapporti tra i Generi (e non solo). La dipendenza materiale è quella nella quale si trova ognuno di noi dal momento che tutti dipendiamo da tutti ed in particolare da coloro che pagano il nostro lavoro o i canoni sui nostri beni. E’ quella del commerciante di fronte ai suoi clienti (se non ha clienti non ha reddito), quella del locatore di fronte ai suoi conduttori (se non riesce ad affittare la casa non ottiene alcuna pigione). 

Da questa va radicalmente separata quella morale, la sola che conti tra le persone e che non ha nulla a che vedere con la prima. Osservando una persona che periodicamente versa del denaro ad un’altra non si può dedurre alcunché sulla relazione tra i due, solo dall’analisi di questa si potrà capire se il portatore del reddito è padrone o servo, libero o dipendente. 

Debitore è chi deve pagare, che ne è tenuto moralmente, civilmente e/o penalmente e che non può sottrarsi dal farlo, si tratta perciò di vedere se il maschio che porta a casa il reddito possa o non possa evitare di farlo. La risposta è stucchevole eppure bisogna darla: il maschio è colui che deve mantenere la moglie, che non ha alcun potere sul proprio reddito e che si costituisce debitore per sempre nel momento in cui si sposa. Il maschio non è padrone del suo reddito perché non gli appartiene e la femmina non patisce alcuna dipendenza perché a quel reddito ha pieno diritto morale e legale, come il locatario alla pigione, la banca alla rata. Come e più dell’operaio al salario, giacché questo cessa di avere diritti quando smette di lavorare mentre la donna conserva quello al mantenimento anche dopo la separazione, a tempo indeterminato. Nessuno si attende lo stipendio quando si licenzia ma la moglie vi ha diritto vita natural durante e questo suo diritto che permane da divorziata è semplicemente il prolungamento di quello preesistente, perfettamente invariato. Poiché esiste il dovere maschile è esclusa ogni possibile dipendenza femminile. 

Se ricevere denaro da un altro vuol dire essergli sottomesso allora il creditore è in stato di dipendenza nei confronti del debitore e quindi anche la separata dall’ex marito ma non esiste alcuna divorziata che corra a “liberarsi” di questa dipendenza e se è vero che in tale stato ha il diritto al mantenimento a maggior ragione lo avrà avuto da moglie. Quando si passa a considerare quelle società nelle quali i maschi non lavorano ma fanno lavorare le donne che diventano in tal modo le procacciatrici del reddito, allora, e solo allora, si vede che chi procura il reddito non è per questo il “padrone”. Germaine Greer occupandosi di quei popoli agricoli nei quali le donne producono più reddito degli uomini ne ha immediatamente dedotto che la questione reddito non c’entra nulla, perché quel che conta è il ‘prestigio’ di cui godono i due, ossia la loro reciproca posizione morale.i Così, dove e quando a portare a casa il reddito sono i maschi questo instaura la condizione di dipendenza delle donne, dove sono queste a guadagnarlo ciò prova oltre ogni dubbio la loro condizione di schiavitù.
Non vi è alcuna ragione per la quale una verità cento volte proclamata non debba essere subito negata quando ciò torni vantaggioso come ha candidamente suggerito di fare la citata femminista rivendicando finalmente in modo esplicito il diritto femminile al ‘principio di slealtà’, filo conduttore dell’intera GNF.ii
L’attuale stato di incoscienza su ciò che sta accadendo ci impedisce di percepire la gravità della condizione maschile in ogni suo risvolto ed è perciò necessario rovesciare l’immagine, invertire le parti per potere, sia pur provvisoriamente e precariamente, gettare luce sullo stato delle cose, esercizio indispensabile del quale fornisce molti esempi Warren Farrell nei suoi lavori. Due coniugi lavorano e portano a casa un reddito equivalente, ma un giorno lui rimane disoccupato e la famiglia subisce in tal modo una regressione economica, adesso solo la moglie lavora e su di lei pesa l’onere del mantenimento della famiglia. Dalla verità femminista si dovrebbe ricavare che la donna ha guadagnato il vertice nella gerarchia e che è diventata la padrona restando intatta la sua indipendenza della quale continuerebbe senz’altro a godere, ed invece l’ha perduta perché ora sulle sue spalle pesa la responsabilità, ora è senza alternative.iii Si sentirà essa più libera, più indipendente? La verità è che dal momento in cui deve mantenere il marito essa non ha visto incrementarsi né indipendenza né libertà: ha perduto entrambe. Questo tipo di “indipendenza economica”, che nessuna donna si augura mai di avere, è precisamente quella della quale da sempre hanno goduto gli uomini, quella che grava su tutti i maschi che abbiano un legame con una femmina. Questo è il loro storico privilegio.

i G. Greer, L’eunuco femmina, op. cit, p. 123.
ii G. Greer, ivi, p. 111.
iii Questo rimane vero, ovviamente, anche se nel frattempo la moglie ottiene un raddoppio dello stipendio tale da lasciare invariato il reddito famigliare.

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