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3.3.5 la guerra dello stupro

Tanto vasta e profonda è stata l’opera di manipolazione femminista sul tema dello stupro che ci siamo quasi dimenticati che l’umanità non ha avuto bisogno di quella ideologia per sapere cosa fosse e cosa sia quel delitto, da sempre lo si è saputo. La gravità della punizione che ne seguiva variava poi a seconda dei luoghi e delle epoche ma che cosa esso fosse è sempre stato certo, almeno nella misura in cui può esserlo ogni altro reato, con le stesse incertezze che può avere ogni gesto ed ogni altra cosa di questo mondo, ma con la nuova era femminista è diventato qualcosa di radicalmente diverso. Sotto l’ombrello della richiesta di punizione certa per il colpevole, da una parte, e con il pretesto di denunciarne le cause, dall’altra, allo stupro è stata tolta ogni definizione, ogni delimitazione, ogni confine. All’abolizione di ogni definizione si è giunti progressivamente, quasi insensibilmente, attraverso un processo di cui non abbiamo avuto coscienza ma i cui passaggi ci sono ora finalmente evidenti.

Stupro era il sesso strappato alla volontà femminile con la forza o le minacce (1), contro un diniego espresso e dichiarato (2) da parte di una donna che sapeva di non volerlo (3). Questi sono i tre caratteri che lo individuavano e che individuano ancora, necessariamente, ogni prevaricazione ed ogni delitto. Nessuna di quelle tre condizioni ha più qualcosa a che vedere con lo stupro. Dapprima il femminismo ha proclamato che l’uso della forza non è decisivo, che le minacce di un male immediato o futuro non sono indispensabili per qualificare come crimine un rapporto (1). Affermò così che il comportamento tenuto dal maschio non ha alcuna importanza e questo fu il primo passo. Era il sesso praticato contro la manifesta opposizione femminile (in gesti o in parole) ma poi il femminismo ha proclamato che la mancata manifestazione di quella contrarietà non è sufficiente a garantire che vi sia consenso. La mancanza di diniego (2) non era più prova di assenso sulla ragionevole considerazione che mille fattori possono indurre la donna a simulare un consenso inesistente, tanto con i gesti quanto con le parole. In questo modo anche il ‘sì’ esplicito e diretto perse ogni significato. Ma non bastò. 

Era un coito attuato contro una donna che sapeva di non volerlo, ma, da ultimo, il femminismo ha proclamato che la sensazione femminile di volerlo e di averlo voluto non significa nulla (3), intendendo che dove la volontà non fu violata ciò indica che fu probabilmente carpita, perché è ben possibile che lei credesse di volerlo mentre in realtà non lo voleva: “Non pensavo che fosse stupro”i è il titolo di un libro famoso negli Usa dove si parla di date rape e di acquaintance rape, di rapporti che la donna credeva di volere ma che in realtà non voleva. Perciò anche eventuali gesti di consenso   che possono ben sfuggire a chi non sa di non volere   anche possibili iniziative da parte della donna stessa   che crede di volere   anche il compimento di quegli stessi inequivocabili gesti cui la più accalorata affida il segnale dell’assenso   gesti inconfondibili   ed infine anche il ‘sì’ più netto e chiaro (quando mai arrivasse) non significano nulla, non provano alcunché, come finalmente dichiara Catherine MacKinnon.ii Che valore può avere il ‘sì’ di chi ignora la sua stessa volontà? Non esistono più parole o gesti inequivocabili che provino il consenso: “No matter how a woman behaves” recita la ‘Dating Procedure’ dell’Università di Berkeley, il comportamento, i gesti della donna non hanno più importanza.iii

Anche se non vi è uso della forza (1), dunque, anche se la contrarietà femminile non viene manifestata (2) ed infine anche se la donna stessa, in quel momento, non sente di essere contraria (3), tutto ciò non significa nulla, non è questo che qualifica lo stupro. Che altro allora? E’ la volontà della donna, quale, in qualsiasi momento successivo, ad essa appare esser stata al momento del fatto, è la sua volontà ricostruita, ridefinita dopo l’accaduto. Stupro è ogni rapporto che la donna pensa di non aver voluto, non un rapporto che in quel momento non volle. Essa dunque, ed ecco il primo passaggio essenziale, non risponde della sua volontà in quel momento, né dei suoi gesti e delle sue parole, è l’uomo che risponde di quella che a lei appare ora esser stata la sua volontà di allora. 

La sua vera volontà di ieri fu quella che le appare oggi, la vera volontà del prima fu quella che sente dopo. Sembra così che venga richiesto agli uomini qualcosa di inconcepibile e di assurdo, essi dovrebbero vedere opposizioni persino nei segnali di consenso, di più, intuire nella partner contrarietà di cui la donna stessa è ignara, leggere là, nel profondo, dove essa stessa non riesce a guardare, ovvero, e finalmente, presumere il ‘no’ e dare, essi stessi, la prova del ‘sì’. Ma quando il ‘sì’ non è volontà violata come si potrà dimostrare che non fu volontà carpita? In condizioni di predominio maschile, sotto il quale vivono le donne, l’idea stessa di consenso non ha più significato giacché non può essere distinto dall’imposizione occulta, questo afferma la GNF.iv

Per quanto paradossale e sconcertante, vi è una sola via di uscita da questo incastro: la presunzione della contrarietà femminile al sesso; in questo caso non vi sarebbe alcun dubbio che di stupro si tratta. Se si legge la ‘sentenza jeans’ alla luce di questo criterio si ricava che l’uomo era necessariamente colpevole ed è proprio perché vale quella verità indicibile che fu giudicato tale dalla collettività. Il c.d. ‘date rape’, stupro su appuntamento o meglio, appuntamento con stupro, si fonda sulla medesima presunzione. Si tratta del rapporto avuto con una donna al primo o in uno dei primi appuntamenti, crimine che non ha bisogno di essere dimostrato nel senso che la contrarietà femminile è scontata. Esso comprende anche un rapporto avuto con una donna conosciuta da tempo ma “catturata” in condizioni alterate dall’alcool o in altre situazioni particolari. Si presume qui che il rapporto non fosse voluto, a prescindere dalla disponibilità eventualmente dimostrata, anzi, le sue eventuali iniziative vanno considerate sospette in se stesse in quanto originate dall’alterazione delle sue condizioni psicoemotive, non prova del suo consenso ma viceversa del fatto che non era nel pieno possesso delle sue facoltà. Si intende che se fosse stata padrona di se stessa si sarebbe opposta perciò il rapporto con una ubriaca è qualificato direttamente come stupro, come se fosse vero che una donna sobria si oppone al sesso. D’altra parte, come non risponde del suo comportamento da sobria meno ancora lo dovrà fare da ubriaca e da ciò discende che tale eventuale condizione di lei non è un alibi per il maschio.v Sullo stesso postulato si fonda l’ ‘acquaintance-rape’, ‘stupro dei conoscenti’ dove i rapporti avuti con parenti (cugini, zii) o con vicini e conoscenti è perciò stesso qualificato come stupro e per le medesime ragioni; la contrarietà femminile è scontata, qualunque fosse la volontà della donna in quel momento. Non esistendo dunque più alcuna definizione di stupro, non sorprende leggere che una buona metà delle donne americane l’abbia subìto e che un quarto delle studentesse dei colleges abbia patito la stessa sorte.vi

Il ‘no’ dunque deve essere dato per scontato, la contrarietà presunta e su questa base tutto si spiega linearmente ma questo è precisamente quel che sosteneva la cultura maschilista secondo cui esiste una differenza naturale tra i due, per indicare la quale, e mettere quindi i maschi sull’avviso, aveva creato la famigerata e già citata espressione “naturale ritrosia femminile”, affermazione ridicolizzata da decenni e divenuta ormai impronunciabile. D’altra parte anche se le donne non fossero né ritrose né riluttanti (e la GNF lo nega sdegnosamente) non cambierebbe nulla riguardo alla definizione dello stupro in questa stagione. Il rapporto diventa crimine quando la donna dice che la sua volontà fu violata e, come accade nel mondo di Orwell, si riserva di dirlo dopo a prescindere da ogni suo gesto e parola e da ogni comportamento del maschio. 

Una verità sbalorditiva si para dunque davanti a tutti gli uomini in Occidente: essi non sanno più se un rapporto sia una festa o un delitto, non lo possono più sapere perché il discrimine è sepolto nel mondo interiore della donna. Una verità che, se fosse tale, sarebbe sconvolgente, giacché, percepita in tutta la sua chiarezza, provocherebbe una lacerazione inaudita tra i sessi e getterebbe gli uomini in preda all’angoscia. La sua inconcepibile gravità sarebbe tale che dovrebbe essere radicalmente negata, perciò lo è. A nessuno è concesso di affermare che le cose stanno così, che questa è la realtà nella quale vive: il sospetto di essere o di esser stato stupratore contro la sua stessa volontà, il timore della vergogna e della rovina; grida scandalizzate e risa beffarde accolgono ogni affermazione in tal senso. Questa verità degli uomini è negata e deve esserlo perché se emergesse sconvolgerebbe il mondo. Gli uomini hanno paura.

i R. Warshaw, I never called it rape, Harper-Collins, New York 1994.
ii Vedi in W. Farrell, Il mito del potere maschile, op. cit., p. 337.
iii Protocollo antistupro dell’Università di Berkeley - CA (University Health Service - Sexual assault and rape - Advice for men) punto 9.
iv Catharine MacKinnon e Carol Pateman in W. Farrell, Il mito del potere maschile, op. cit, p. 451 (nota n. 12 del cap. 14).
v Ivi.
vi Ivi, pp. 337-338.

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