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2.6.5 Verginità

Il femminismo ha combattuto contro il mito della verginità, letto, ovviamente, come invenzione maschile, un modo per impedire l’esercizio della libertà sessuale alle donne mentre permetteva agli uomini di darsi al libertinaggio. Che quel tabù esistesse non vi sono dubbi. Da militare, alla metà degli anni Settanta, dunque nel pieno “dell’era moderna” e dopo l’avvento della pillola, entrai in polemica con un commilitone palermitano cui chiesi se fosse vera la leggenda secondo la quale le siciliane che non fossero vergini non trovavano marito. Rispose che era verissimo e confermò che egli stesso non avrebbe mai sposato una siciliana che non lo fosse. Gli feci notare che un simile pregiudizio impediva di fatto ai maschi di trovare donne disponibili a far sesso fuori del matrimonio e che perciò il divieto si ritorceva contro di loro. “Lo so - rispose - ma non posso farci niente. Nessuno può rimediare alla cosa. In Sicilia è così. A me non frega niente se una donna è vergine o meno e certamente me la sposerei, ma solo fuori dalla Sicilia, a Roma, a Milano. Nell’isola non lo farei mai”. Un pregiudizio contro la libertà sessuale femminile non può che coinvolgere gli stessi uomini e, se si considera che quell’ “ossessione” è maschile, non si riesce ad immaginare una trovata più autolesionista di questa qualora fosse stata ideata dai maschi. L’uso del mito della verginità come capo di imputazione contro gli uomini è un altro caso nel quale l’effetto (qui uno dei due effetti) viene assunto come scopo. Come nel caso precedente si dimenticava il secondo comma, qui si glissa sul secondo effetto, giacché il fine dell’interpretazione è il medesimo. 

A cosa serve ricordare un impedimento, insistere sull’esistenza di un limite al comportamento femminile se non lo si assegna ad una volontà cattiva e perciò colpevole? Il femminismo asseconda, blandisce ed usa l’idea popolare secondo la quale valori, tabù, usi e costumi sono fissati con lucida coscienza da gente di potere (uomini) secondo i propri fini ed insegue così quel principio animistico secondo il quale non accade nulla che non sia voluto in piena coscienza da qualcuno. Certo, nessuna femminista sosterrebbe una simile balordaggine in un consesso scientifico ma è sufficiente lasciarla credere nel discorso collettivo per garantirsi l’effetto voluto, il rimando alla colpa maschile. 

Tra coloro che si sono occupati dell’inconscio figura A. Schopenhauer il quale affermava che la limitazione della libertà sessuale femminile ha due origini perché risponde a due interessi diversi, quelli che noi tutti sospettiamo. Da parte maschile come strumento di garanzia della paternità, da parte femminile come limitazione artificiale di una risorsa che diventa così la più potente arma a disposizione delle donne. Schopenhauer però, che non era un ingenuo, non parla di intenzioni consce, di volontà esplicita, ma si riferisce alle potenze inconsce che elaborano ed impongono valori e regole agli umani persino contro i loro interessi in quanto quell’inconscio ha di mira la vita e il bene della specie e non quella dei singoli o dei gruppi o di uno dei due sessi. E’ a questo livello che vanno ricercate intenzioni e finalità ma è appunto un livello inconscio che, in quanto tale, non permette di usare eventuali regole limitatrici del comportamento delle donne come capi di imputazione contro gli uomini.

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