Top Slide Menu

3.7.4 Padri separati

Il numero dei divorzi è in costante crescita in tutto l’Occidente tanto che in alcuni paesi (Usa e Gran Bretagna) rappresenta ormai la metà dei matrimoni, mentre in quelli dell’area ex socialista spesso supera quella quota e tocca il vertice in Bielorussia dove sfiora l’80 per cento. Per quanto attiene all’Italia il calcolo è complesso in quanto vige qui un processo in due fasi che prevede la separazione legale della durata minima di tre anni prima del divorzio cui poi devono sommarsi le separazioni di fatto che sono in numero superiore a quelle legali. Nel complesso il numero delle coppie che si spezzano si avvicina al quaranta per cento dei nuovi matrimoni, tenendo presente però che nel Nord il tasso è circa il doppio che nel Sud.i Promotrici delle separazioni sono in Italia le donne in circa i due terzi dei casi, mentre in Francia ed in Gran Bretagna prendono l’iniziativa del divorzio addirittura tre volte su quattro. La separazione dunque è già un fatto di iniziativa prevalentemente femminile e questa sproporzione si va incrementando. Come è ben noto, in tutto l’Occidente nelle separazioni i figli vengono affidati alla madre per una quota che si avvicina al 90 per cento. In Italia nel 1996 andavano alla madre nel 92% dei casi ed al padre nel 2,7% e solo recentemente la quota di assegnazione alla ex moglie è scesa sotto il 90% (86,0%) mentre sono incrementati gli affidi congiunti e quelli esclusivi al padre, soluzione che per la legislazione italiana non rappresenta la scelta ordinaria ma una opzione del magistrato fondata sull’accertamento dell’idoneità paterna.ii

Questo eclatante fenomeno viene spiegato con la considerazione che la madre è più attrezzata da tutti i punti di vista e che, specie nella prima infanzia, i figli hanno maggior bisogno di lei che del padre, motivazione che viene però simultaneamente stigmatizzata in quanto esito della secolare estraneità dei maschi alla cura dei figli, fatto che si riverbera nelle scelte dei giudici, vittime di un pregiudizio duro a morire. Le madri si vedrebbero affidare i figli a causa del dogma maschilista secondo cui vi sono destinate “per natura”, al tempo stesso però la denuncia di questa situazione e la richiesta dell’istituzione dell’affido congiunto non provengono né dal femminismo né dall’insieme del mondo femminile, come se, in fondo, lo stato attuale fosse bensì effetto di un pregiudizio da eliminare, un preconcetto antifemminile che però alla fin fine non disturba. L’affidamento monoparentale (così si chiama pudicamente questo istituto che assegna i figli alle sole madri) è parso sin dall’origine come la cosa più logica di questo mondo. Mascherato dal fatto che i figli non possono abitare contemporaneamente nelle case di entrambi, per decenni è sembrato “naturale” che venissero affidati alla madre. Cosa ciò comporti appare chiaro agli uomini solo quando diventano ‘ex’ e sperimentano un fatto imprevisto ed incomprensibile, la loro decadenza dal ruolo di padri, non nel senso che diventano genitori di serie B (come usano dire) ma precisamente in quanto smettono di esser tali per trasformarsi in mere macchine da reddito. 

Si ritiene che l’affidamento, lo dice la parola stessa, comporti l’assegnazione dei figli, ma esso significa solamente che la posizione della madre non cambia, cambia invece, e radicalmente, quella del padre che decade dal suo ruolo e dalla sua funzione. Il termine è perciò mistificatorio e fraudolento giacché il suo effetto reale consiste nell’espulsione del padre, nella sua cacciata dalla relazione naturale con i figli, nell’esilio della paternità. I figli sono già assegnati ai genitori in forza della semplice nascita perciò l’affido alla donna non significa altro che il suo permanere a pieno titolo nel rango di genitrice, la conservazione piena delle sue prerogative, la sottrazione dei figli agli uomini non rappresenta invece nient’altro che il rovescio di quell’imposizione di paternità di cui abbiamo parlato. Ai maschi i figli possono essere tanto imposti quanto sottratti a discrezione, il risultato di questo stato di cose è l’espansione, con conseguenze rovinose, del numero dei figli che crescono senza padre ed è stata la percezione di questo problema uno dei primi campanelli d’allarme che hanno risvegliato gli uomini dal loro sonno e ha permesso loro di sentirsi autorizzati a parlare in difesa di se stessi. Verso una società senza padre è il titolo del citato saggio di Mitscherlich e data 1963, primo segnale in Europa di un trend che porterà entro breve la metà dei figli a crescere senza di lui. E’ però evidente che la stessa invenzione del c.d. “affidamento” poteva maturare solo in una situazione nella quale la subordinazione della paternità alla maternità, la sua distruzione, fosse nell’ordine delle cose, già interiorizzata come fatto naturale e scontato da parte di una collettività che nel profondo ne sentiva la radicale superfluità. 

Nella progettazione a tavolino di una società “utopica” nella quale il valore del padre sia azzerato non si potrebbe evitare di istituire l’affido monoparentale come strumento legale della sua espulsione dalla relazione con i figli. La condizione di padre separato dai figli minorenni è stata ed è sperimentata da circa un milione di uomini solo in Italiaiii ed è tale da aver spinto un certo numero di essi a costituire le prime associazioni maschili che la storia registri. Se si libera il campo dai princìpi femministi secondo i quali le donne sono moralmente superiori agli uomini appare chiara la costituzione originaria di questa condizione, struttura dalla quale i singoli casi e le esperienze personali traggono origine. La posta in gioco tra due forme viventi è sempre l’interesse di ognuna di esse, il suo potere sull’altra e niente meglio dell’affido pone la donna nella condizione di esercitare il suo contro l’ex. Il padre separato ha pochi diritti de jure e non ne ha alcuno de facto e la ragione risiede nel fatto che non esiste alcun modo per imporre alla madre il rispetto di quegli scampoli di prerogative che legge e sentenze (talvolta) attribuiscono al primo perché questa non può essere colpita né economicamente né con misure restrittive. La donna non può essere sanzionata. Accade di incontrare padri separati che, sventolando decisioni loro favorevoli emanate dai tribunali, denunciano con rabbia mista ad incredulità l’assoluta inefficacia di qualsiasi decreto, e si capisce, senza la minaccia di una sanzione, leggi e decreti, regolamenti e sentenze non sono altro che grida manzoniane. 

Il rispetto dei diritti altrui ha sempre bisogno della minaccia di una sanzione anche quando non vi sono ragioni particolari di odio tra le parti, ma la separazione è un’evenienza che quasi sempre porta con sé uno strascico di risentimenti che chiedono in ogni modo ritorsioni tanto da rappresentare forse una delle fonti più pure di odio tra femmine e maschi. Il quadro dunque è chiaro, alla universale tendenza dei viventi alla prevaricazione si somma qui una potente e specifica volontà di rivalsa e proprio in questo frangente, quando sarebbe più che mai necessaria, manca ogni minima ipotesi di costrizione. Ne deriverà necessariamente quel che un numero enorme di padri separati sperimenta, la guerra unidirezionale. Le tragiche esperienze, gli infiniti sgarbi, le umiliazioni, le ferite, i ricatti, le speculazioni, gli inganni, le trappole nelle quali vengono fatti cadere nelle forme le più stravaganti e impensabili in una fantasmagorica vastità di aneddoti che formano ormai un genere letterario a sé stante, non sono che la banale conseguenza di un divario di potere estremo che dà, necessariamente, libero campo ai risentimenti personali che si sommano a quelli di Genere. Un potere incontrollato porta alla prevaricazione illimitata, qui come in ogni altro caso. 

Ridotti al silenzio, senza istanze cui rivolgersi, senza prospettive di soluzione, alcuni di loro, in numero crescente, danno di matto e compiono stragi il più delle volte concluse con il suicidio. Della svalutazione totale del valore degli uomini e della loro utilità, la condizione dei padri separati rappresenta forse la faccia più atroce. Passati nel tritacarne della separazione, dichiarati decaduti dal loro rango, umiliati nei tribunali, inquisiti dalle assistenti sociali, ridotti a bancomat men, oggetto di impuniti ricatti, una volta su tre accusati di abusi e di violenze, trasformati in questuanti di affetto e di stima, senza difesa e senza voce, novelli kamikaze, esplodono nel sangue. Manifestazione sconvolgente di angosce e disperazioni che un’intera civiltà produce e al tempo stesso nega, nell’illusione che, negato, il male scompaia. Si sa però che le verità negate sono poi gridate dalle pietre, quando va male, o dal piombo, quando va peggio. Alcuni di essi si sono autofilmati al momento della strage e del suicidio, gesto di totale impotenza, terribile modo di mandare un segnale a quella collettività che irrise ai loro lamenti e fu sorda ai loro appelli. 

Il potere delle madri si estende sino alla possibilità di dare ordini ai vicini, ai direttori didattici, alle insegnanti ed agli operatori scolastici di impedire le visite ai figli, di consegnarli all’uscita e di farli scendere dagli scuolabus presso le abitazioni dei padri, in barba ad ogni decisione del tribunale. Tutti ubbidiscono senza battere ciglio temendo giustamente di essere citati quali complici di un delitto, favoreggiatori di rapimenti, di kidnapping da parte di quell’abusatore presunto che è il padre separato. Accade perciò di vedere i padri attendere i minuti di ricreazione per guardare da oltre la rete quei figli che non possono vedere altrimenti ma al cui mantenimento devono però provvedere. Le madri possono imporre con la semplice parola il divieto ad operatori sanitari ed a pubblici ufficiali di esibire agli ex mariti certificati e cartelle, comprese quelle sulla cui base presentano poi le richieste di rimborso, tanto che una associazione di padri separati può farsi vanto di aver ottenuto un decreto con il quale viene confermato il diritto dei padri a vedere le cartelle cliniche. E’ stato necessario un intervento del Garante della Privacy,iv ma questo “trionfo” romano è ignoto altrove dove la parola della madre ha l’incondizionato valore di un diktat. La casistica di questi ricatti è semplicemente infinita e non vi è padre separato che non possa presentare una vasta serie di aneddoti sorprendenti e inauditi.
In una città d’Occidente un padre evita di recarsi nelle zone dove con maggior probabilità può incrociare la sua ex famiglia perché non sopporta più di essere pubblicamente insultato dal figlio. In un’altra un separato incontra per strada il figlio in compagnia della ex, lo saluta e si ferma a parlare, viene incriminato perché il contatto è avvenuto fuori dai giorni prescritti. Non si può credere che sia vero, perciò non lo è.

i Le quote riportate si riferiscono alle assegnazioni decretate in sede di sentenza di divorzio e non all’atto della separazione dove sono rispettivamente 86,7 - 8,0 - 4,6 per cento (con il residuo dello 0,7 ad altre soluzioni). Separazioni e divorzi ammontano complessivamente a 110.000 l’anno, contro 270.000 matrimoni ca. e ne rappresentano dunque il 40%. ca. Il Nord ha un tasso che è quasi doppio del Sud e si avvicina al 50%. In cifre assolute 109.542 separazioni e divorzi per 276.960 matrimoni con una crescita media annua del 5,4% (1995-2000). Dati Istat 2000 - Servizio Giustizia a cura di Annamaria Urbano con alcune mie elaborazioni. Altre fonti (“La Repubblica”, 07.11.2002, p. 24, su dati Istat) fanno scendere il numero dei matrimoni a 261.000 e quello delle rotture di coppia a 107.542 nel 2001. Cifre recentemente riportate dalla stampa (“Avvenire” del 30.11.2003) riferiscono di 70 mila separazioni e 50 mila divorzi ma si tratta di dati disomogenei che mettono insieme le separazioni omologate e giudiziali con le domande di divorzio. Riferito alle sole ‘domande’ le cifre sono: separazioni 99.640, divorzi 48.451 nel 2000. Stessa fonte.
ii Cfr. nota precedente.
iii Somma di tutti i casi dall’introduzione del divorzio nel 1970. Da quell’anno al 2000 le coppie frantumatesi (separazioni & divorzi) sono state circa due milioni ed hanno coinvolto figli minori nella proporzione del 60% dei casi (62,3% nel 2000 ) perciò il dato indicato è errato per difetto; nella riduzione operata entrano altre considerazioni che tralascio. Fonte Istat - Rapporto sull’Italia 1999, Il Mulino, Bologna 1999, pp. 85 e ss., con mie integrazioni e G. Maggioni in M. Barbagli e C. Saraceno, Lo stato delle famiglie in Italia, op. cit., pp. 232-247.
iv Provvedimento n. 13919/18037 del 12.12.2001. Comunicazione di Paolo Pace - Ancoragenitori - Roma, del 17.01.2002.

0 commenti:

Posta un commento

I messaggi anonimi non verranno pubblicati.
Inserire Nome nell'apposito campo