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2.3.2 Potere, dovere e volere

Di fronte ad ogni atto ci si può ragionevolmente chiedere se chi l’ha compiuto abbia potuto o abbia dovuto compierlo, se l’abbia voluto o ne sia stato costretto. Una persona ha realizzato qualcosa: ha potuto o ha dovuto? Un’altra non ha realizzato nulla: non ha potuto o non ha voluto? Mescolando anche solo queste possibilità è agevole giostrare l’interpretazione sino al punto di affermare che ogni mia realizzazione è stata frutto della mia volontà, della mia fatica e delle mie rinunce ed ogni mio fallimento della costrizione subita e degli impedimenti frappostimi. Viceversa, in quel che l’altro ha compiuto vedrò privilegi e rapine, in quel che non ha realizzato indolenza e inettitudine.


Le donne non studiavano, era perché non potevano o perché non volevano? Gli uomini corrono verso la carriera, è perché possono o perché devono? I maschi mancano dalla scuola, è perché vogliono starne fuori o perché ne vengono esclusi? Da cosa vengono esclusi? Vi sono forse leggi che ne impediscono l’ingresso? Le donne non studiavano, vi erano forse leggi che lo impedivano? L’educazione è in mani femminili, è perché ne escludono gli uomini o perché questi gliene hanno delegato l’onere? L’educazione è un onere o un potere? I maschi a scuola sono redarguiti più spesso delle compagne, è una forma di repressione o uno stimolo a migliorare? Manifestazione di avversione o di superiore interesse? Le ragazze sono più passive ed intervengono di meno, è colpa dell’educazione. Però hanno risultati migliori, è perché sono più motivate. Si motivano autonomamente? E come mai hanno atteso diecimila anni per farlo? 

Il marito gestisce il bilancio familiare, è manifestazione ed esercizio di potere; lo tiene la moglie, è solo un onere delegato. Le donne si gonfiano seni e labbra e riducono nasi e cosce, è perché possono e vogliono o perché ve li costringe l’immaginario maschile? Le letture di ogni fatto egualmente ragionevoli, egualmente scientificamente fondate sono molteplici, quale di esse sarà scelta dipenderà dal contesto e dal sesso di cui si parla. Gli esempi che si possono dare di questo permanente e capillare stravolgimento dell’interpretazione sono praticamente infiniti ed un buon numero è riferito ed analizzato da Warren Farrell nei suoi lavori ed in particolare ne Il mito del potere maschile.i 

Questo tipo di lettura eternamente rovesciata secondo utilità viene svolto con tale ingenuo candore che non si teme di praticarla all’interno del medesimo discorso o dello stesso articolo. Così prima si condanna l’esplosione del nudo, in quanto prodotto dalla costrizione maschile, poi, due righe più in basso, lo si rivendica e si difende come conquista femminile quel diritto allo smutandamento che le islamiche, purtroppo, non hanno.ii Non vi è costume, non vi è legge, non vi è comportamento che non venga sistematicamente interpretato e reinterpretato rivoltandone il senso in tutti i modi possibili a seconda dei contesti e delle condizioni. Muta l’interpretazione affinché ne resti immutato l’effetto.

“Il sangue dei padri ricada sui figli”. Non si può ascoltare questa tremenda invocazione senza provare un brivido, senza indignarsi di fronte ad una sentenza tanto ingiusta e agghiacciante che trasferisce sulle generazioni future i delitti, veri o presunti, di quelle passate. Istintivamente la respingiamo da noi, assegnandola ad epoche e a culture che ci appaiono disumane ed intollerabili. Poiché il femminismo combatte l’odio e promette l’era dell’amore suona davvero ingiuriosa e delirante anche la semplice ipotesi che quella inconfessabile invocazione ne descriva il possibile scopo. Eppure è proprio quella profezia a filtrare da ogni lato veicolata da un racconto che ha mille derivazioni ma anche alcuni temi centrali che sempre ritornano.

i W. Farrell, Il mito del potere maschile, Frassinelli, 1994.
ii Natalia Aspesi, “La Repubblica”, 21.12.2001, p. 32.

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