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3.8b.3 La mansuetizzazione scolastica

Il fatto che l’educazione sia diventata monopolio femminile è così eclatante che nessuno lo può negare e si levano di quando in quando voci “preoccupate” su un trend che non pare finire e sulle sue conseguenze. Al predominio femminile in famiglia, dove la figura del padre privata di ogni autorità e prestigio è diventata ancillare e subalterna (il titolo di “bravo papà” viene assegnato dalle partner ai meritevoli), si somma l’esilio paterno nelle separazioni e a questo l’espulsione dei maschi dal sistema scolastico. Rovesciata la colpa contro gli uomini che hanno “delegato” questo onere alle donne e dissimulato in tal modo il potere autocratico che le stesse hanno conquistato in campo educativo, si abbozzano inconsistenti proposte di soluzione giunte talvolta al punto di ipotizzare la costituzione di quote nella scuola. Nel frattempo agli effetti prodotti sui maschi da questa “overdose” di femminilità (come viene pudicamente definita),i si cerca di porre rimedio con la selezione differenziata, con la neocriminalizzazione dei comportamenti dei ragazzi che disturbano, sporcano, fanno scherzi alle compagne e rompono i vetri: il bullismo che dilaga. Dove la pressione disciplinare ed i ricatti emotivi non sono sufficienti a tenere a posto questa (presunta) vitalità, questa (sedicente) esuberanza che non può trovare né comprensione né valorizzazione in un universo tinto di rosa, si ricorre alla chimica. Ritalin e Prozac sono due tra i più famosi strumenti di questa castrazione di massa con i quali si tengono buoni ed attenti quattro milioni di ragazzi americani (e italiani in via crescente) afflitti dalla Adhd, ‘disordine di disattenzione da iperattività’, malattia della quale non si è mai vista traccia tra i ‘primitivi’ e i ‘selvaggi’.ii

Nessuno osa poi correlare il divario del profitto tra femmine e maschi a questa totale femminilizzazione, nessuno osa denunciare il fatto, psicologicamente prevedibilissimo, che stando così le cose quell’esito è del tutto naturale e che sarebbe invece stupefacente se quel divario non vi fosse. Non c’è bisogno di acute analisi né di grandi teorie per spiegare il fatto che in una scuola dominata dai maschi i ragazzi abbiano risultati migliori delle femmine. Ma i migliori risultati di queste come possono diventare un capo di imputazione contro il Genere che sopporta l’onere dell’insegnamento? Di più, per quanto possa sembrare inverosimile, la GNF giura che a patire i danni maggiori di questa situazione non sono i maschi ma le femmine stesse. L’uscita degli uomini dalla scuola ne avrebbe infatti eroso il prestigio con il risultato di svilire e deprezzare le conquiste delle donne proprio nel momento e nel luogo in cui da subito si manifesta la superiorità delle loro capacità e qualità.

Lo stesso rovesciamento ha subìto la pur accademica ipotesi di tornare alle classi separate, soluzione proposta in Francia dalle scuole Cattoliche, non a favore dei maschi, come la nostra ingenuità ci porterebbe a credere, ma delle femmine, penalizzate dalla presenza, inibite dallo sciovinismo, impaurite dall’aggressività maschile, costrette a convivere con quella metà della Terra dalla quale non si sa cosa abbiamo da imparare e dalla cui presenza vedono limitato il superiore rendimento e compressa la manifestazione della loro preminenza estetica e morale. Il confronto con quelli (sempre più “bulli e somari”) che sono ad esse inferiori nel profitto le umilia, la relazione con coloro che sono più bassi moralmente le corrompe. Costrette a subirne la violenza, la volgarità e la brutalità, hanno già pagato un prezzo troppo alto ed è giunta l’ora di chiudere questo esperimento che non fu avviato nell’interesse dei maschi ed è perciò coerente che si chiuda avendo di mira quello delle femmine.
Del resto se proprio dalla Chiesa, “da sempre nemica delle donne”, giunge una tale proposta vuol dire che la misura è colma. Eppure anche questa soluzione è antifemminile e ce ne spiega i motivi un noto pedagogo e insegnante il quale afferma che se classi miste è male, classi separate è peggio. Egli testimonia, per esperienza diretta, che quelli sono covi di misoginia dove branchi di maschi arrapati imparano a “sputare sperma e sangue” (letteralmente) all’indirizzo del Bel Genere, dove la femmina, trasfigurata dalla distanza, diventa in realtà incubo, misterioso mostro da insultare e stuprare (proprio così) dove i sentimenti diventano patologia e gli ormoni, per quanto fiaccati dal vizio solitario, deformano e degradano, o forse semplicemente svelano, quel che i maschi diventano quando crescono da soli, lontani dall’influsso civilizzatore, fuori dal controllo, dall’opera mansuetizzatrice delle femmine. Quel che sarebbero senza di Lei. E come potrebbero poi imparare ad ubbidire alle femmine, condizione scontata nel futuro, se crescessero lontani da esse? Così, per evitare che quella parte del mondo continui a scendere in basso, sempre più in basso, la convivenza è necessaria, è un prezzo che le donne devono pagare perché qualcosa deve pur essere fatto a protezione del mondo dalla peste misogina, dal cancro della maschilità.iii

i D. Fortunato, Amore e potere, op. cit.
ii “L’Espresso”, 31.01.2002, Il caso Ritalin e “Il Manifesto”, 3.09.2002.
iii M. Cavallieri e M. Lodoli, “La Repubblica”, 9.01.03, p. 24. L’apprendistato all’ubbidienza ed alla sottomissione derivante dalla precoce convivenza è rivendicato da Terry O’Neill, portavoce nel NOW in “D - La Repubblica delle donne”, 01.11.2003, p. 56.

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