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3.1.2 Il grande peana

Il comico Roberto Benigni è uno di quelli che hanno fatto del peana al femminile una missione. Anni fa, dopo aver celebrato con diciassette sinonimi le glorie della Porta Celeste in una gag nella quale scongiurava la sciantosa di permettergli di sbirciarne le grazie, le si fece addosso supplice e implorante, letteralmente strisciandole davanti in una esibizione il cui reciproco non può neppure essere immaginato. Uso a leggere la dantesca preghiera di S. Bernardo come celebrazione della Donna anziché della Madonna, un anno fa ha concluso un suo magistrale intervento affermando che, rimasto senza materiale, il Creatore, per foggiare la femmina, pensò bene di prendere una costola dal maschio senza tema di rovinare il recente prodotto dal momento che già non gli era riuscito tanto bene. Fallato all’origine. Nel plauso generale alla bravura di questo comico nazionale il particolare è sfuggito. Chi potrebbe immaginare una donna strisciante davanti ad un uomo nel tentativo di valutarne al tatto la dotazione, non quella fisica, per carità, ma almeno quella economica? O che la Bella possa essere pensata portatrice di difetti di fabbrica, un prodotto tarato sul quale si possa costruire una gag natalizia? Tutte le entità del mondo e dell’ultramondo possono diventare oggetto di burla e di motteggi, salvo Una. Sparsi in queste pagine si trovano altri esempi, gocce nel mare, di questo esercizio che mescola denigrazione del maschio ed esaltazione della femmina, provenienti dagli uni e dalle altre indifferentemente e rinvenibili su tutte le pubblicazioni di tutti gli orientamenti idealpolitici. Eccone altri.
Sul “Corriere della Sera” Dacia Maraini ottiene una pagina intera per propagandare la verità femminista secondo la quale la guerra che devasta l’Africa occidentale,i al pari di ogni altra, è creata e voluta dagli uomini, mentre le donne, “Unica speranza contro la paura”   come recita il titolo   che tentano disperatamente di tenere in piedi un residuo di convivenza civile e sulle quali ricade l’onere di riportare la pace in terre distrutte dall’odio e dalla vendetta, sono trasformate in prede, in serve, in obiettivi di stupri individuali e di gruppo: “Noi li portiamo dentro la pancia per nove mesi, li alleviamo sino a sette anni e poi ci vengono tolti per portarli a fare la guerra.”. L’idea che un qualche gruppo umano sia superiore ad altri per qualità ereditarie (e perciò genetiche) è da oltre mezzo secolo correttamente bollata come nazista e tutte le “prove” al riguardo sono da sempre liquidate come pseudoscienza al servizio del razzismo bianco o del sessismo maschilista. Ma la stessa Germaine Greer nel suo celebre L’eunuco femmina dopo aver tolto di mezzo ogni più lontana ipotesi che esistano differenze naturali, afferma che non vi è alcuna ragione per non adottare un giorno, a vantaggio delle donne, un’eventuale teoria della loro naturale superiorità mentale, giacché: “Non vi è alcuna ragione per la quale le donne si debbano limitare ai ragionamenti logici”, al rispetto cioè di quei princìpi che esse stesse proclamano. Una rivendicazione diretta, esplicita del diritto alla slealtà che toglie ogni stupore di fronte ai proclami sulla superiorità naturale (qui finalmente senza virgolette) della donna.ii
Già Ashley Montagu nel ’54 scrisse un libro (del quale poi si pentì) dal titolo La naturale superiorità della donna che non è mai stato liquidato da nessuno come sessistico-razzista, ma la fondatezza scientifica della superiorità intellettuale femminile è diventata di comune dominio solo in anni recenti. “Intelligenza, vince lei” titolava in prima pagina il più diffuso settimanale progressista italianoiii a presentazione di un dossier scientifico sulla superiore intelligenza femminile fondata sulla maggiore connessione dei due emisferi cerebrali, fatto noto da più di un secolo e definito falso o irrilevante quando i maschilisti lo adducevano a spiegazione della maggiore emotività e della refrattarietà alla logica delle donne.
Che esse siano “più” è un luogo comune. Come colleghe o subordinate sono più collaborative, più empatiche, meglio attrezzate nelle relazioni umane, più attente, più scrupolose, capaci di fare più cose e gestire più relazioni nello stesso momento, più aperte al nuovo, più dinamiche, più capaci di sacrificio, di continuità, di dedizione, di attenzione. Come dirigenti poi “sbaragliano i colleghi maschi” in ben undici parametri su quattordici. Letteralmente: “Più brave ad ispirare e valorizzare il personale, gestiscono meglio i cambiamenti e li incoraggiano, sono più portate a risolvere le situazioni difficili e a creare una buona rete di contatti”. Non basta, giacché sono anche buone mentori, più decise, più comprensive di fronte agli errori e tendenti ad elaborare strategie più chiare.iv Saranno inferiori almeno nei rimanenti tre caratteri, si pensa. Macché, quanto ad accessibilità, onestà e coerenza, nonché capacità di delegare il lavoro, sono alla pari con gli uomini, ammesso che non siano questi ad arrancare per starne a ruota.
Più diligenti, più precise e soprattutto meno narcisiste, meno permalose, meno conflittuali, meno competitive, meno egoiste, perciò più adatte alla complessità delle nuove relazioni sociali e professionali. “La straordinaria superiorità femminile anche nella vita pubblica attiva e passiva” è poi provata da una infinità di fattori, non ultimo il fatto “di avere Mani Pulite ed una cultura della politica e del potere come servizio”.v Capaci di pensieri paralleli, di farsi guidare dalle emozioni ed infine semplicemente dotate di maggiore materia grigia,vi superiori anche perché esse sole capaci di piangere,vii “Le femmine della specie umana sono mediamente più intelligenti dei maschi”,viii “La differenza inizia dal cervello” ecco perché esse sono più “intuitive, fantasiose, capaci di pensiero parallelo, con una maggiore capacità di prendere decisioni giuste”, mentre è ormai acquisito che, essendo più irrorato di sangue, “...il cervello femminile è più raffinato e più sofisticato”.ix Il principio di slealtà, rivendicato dalla Greer, non potrebbe essere applicato con maggior scrupolo e più razionale coerenza.
Ma alla rivelazione di questo stillicidio, di questa ideologia sessuo-razzista, di questa scomposta celebrazione permanente, suadente e pervasiva, si oppone un fatto esiziale, la piccineria, l’inconfessabile meschinità tradita da colui che la segnala. Si intende che solamente chi si sente infastidito dal “più” altrui può stigmatizzare il processo, solo chi è animato da miserevole invidia può leggervi un suo abbassamento, una umiliazione indiretta; non vi è nulla di più gretto che percepire come offensiva la lode delle capacità e delle doti altrui. L’uomo sicuro di sé, sereno e generoso non può abbassarsi a tanto, sarà anzi felice di riconoscere le superiori qualità di quella creatura da secoli sconsiderata, svalutata, sminuita. Ci vuole davvero un bel coraggio per farsi avanti a denunciare quella lode asimmetrica come strumento di vilipendio degli uomini, rivelando così di sentirsi feriti dalle parole, anzi dai dati scientifici e statistici che parlano della superiorità femminile e benché sia vero che neppure chi lo pensa ardisca scrivere “Intelligenza, vincono i bianchi” non ci si fa scrupolo di gridare che sui maschi vincono le femmine, il cui cervello “…è una macchina sofisticatissima” a fronte di quello maschile “paragonabile ad un trattore” e che esse sono “dotate di una marcia in più” guardandosi dal chiarire se questa superiorità derivi dalla natura o dalla cultura.x
 
Nessuno può permettersi di notare alcuna ombra nell’affermazione che è meglio avere in azienda collaboratrici anziché collaboratori dal momento che “è meglio ascoltare la voce di una donna che quella di un uomo” specie se si considera che i maschi stanno diventando ogni giorno “più beceri”.xi Del resto “…quel che si cerca di norma in azienda è proprio il rispetto delle regole, l’affidabilità, la fiducia, la pazienza. Tutte caratteristiche peculiarmente femminili”, a livello gestionale poi “…il comportamento etico, il senso di giustizia, di riconoscimento dei ruoli e del valore della relazione, quasi sempre è molto più evidente nelle donne” e diventa perciò ragionevole chiedersi: “Servono gli uomini sul lavoro?”.xii
 
Il disdoro che cade su coloro che si permettono di farne rilevare la natura sessistico razzista rende autoimmune la dinamica che può così dilagare senza ostacoli, non vista, non percepita e quindi inesistente. Il filosofo Umberto Galimberti nell’occuparsi delle patologie della vita familiare e dei delitti che vi si consumano, parla di violazione dell’alterità: “Non si capisce che il figlio è altro dal padre con una visione del mondo tutta sua che il più delle volte non collima con quella del padre e va riconosciuto nella sua alterità. Non si capisce che la moglie non è proprietà del marito, puro prolungamento del suo bisogno di servizio o delle sue esigenze sessuali”.xiii Delle malefatte materne, dei ricatti sessuali e del resto, non una parola, mentre il sociologo Francesco Alberoni rinviene nell’azione delle “bande maschili” la causa del mancato accesso delle donne alle alte sfere delle politica e dell’economiaxiv e lo psicologo Aldo Carotenuto confessa la verità da sempre taciuta e cioè che “le donne sarebbero già state sterminate se far del sesso non fosse piacevole”.xv La pianta è così ramificata e fertile che se ne trovano i frutti nei contesti più impensati, tali da sorprendere il più smaliziato, o, se vogliamo, il più prevenuto degli osservatori.
Il coordinatore nazionale del partito di governo afferma che l’attuale leader persegue “…una politica al femminile ...” nella quale “…la logica maschile del potere viene sostituita dalla logica femminile del dono, della comprensione, dell’amore” mentre Massimo Fini taglia corto: “La donna è per la vita, l’uomo è per la morte”.xvi La più recente edizione del Devoto-Oli è corredata da un fascicolo sulla storia di alcuni termini di uso comune, alla voce ‘omertà’ si apprende che “...la parola potrebbe venire …()… da omeneità, l’‘essere uomo’ che rappresenta un adattamento dello spagnolo hombredad, ‘virilità’. Entrambe le spiegazioni ci fanno capire perché sia difficile vincere l’omertà”. Mentre il quotidiano economico nazionale mi mette in guardia contro i guasti del machismo finanziario,xvii mi dirigo verso le fonti formative occulte di mia nipote adolescente dove finalmente apprendo che i maschi pur “fissati col sesso” possono però imparare ad essere romantici se adeguatamente istruiti.xviii Operazione certo ostica dal momento che è specifica della mascolinità la valorizzazione del “…denaro, del successo e delle cose” mentre invece è proprio della femminilità “…l’interesse verso gli altri e la qualità della vita”.xix Sazio del presente, cambio argomento e mi butto nel passato remoto alla ricerca di una tregua: Origini delle lingue europee dell’Alinei e subito vado a cozzare contro “la componente sessista e guerriera” delle società di tipo “rigidamente patriarcale” dei popoli Altaici.xx You must be pushed.

i “Corriere della Sera”, 27.12.2002, p. 11. Dall’articolo, una pagina intera, non è però possibile capire di quale guerra si tratti.
ii G. Greer, L’eunuco femmina, op. cit, p. 111.
iii “L’Espresso”, n. 36/1999.
iv “Corriere della Sera”, 11.01.2003, p.18.
v Silvia Costa, lettera a “La Repubblica”, 9.11.1997, p. 10.
vi “Corriere della Salute”, supplemento al “Corriere della Sera” del 21.05.2000, intervista al prof. Paolo Pancheri.
vii Pierre Lemoine, psichiatra francese, su “La Repubblica”, 18.10.2002.
viii Da “Tutto Scienze - Tecnologia” del 12.01.2002, A. R. Meo del Politecnico di Torino, “La Stampa” ed. web, 09.01.2003.
ix “Il Venerdì” de “La Repubblica”, 20.06.2003, p. 32.
x Vedi nota n. Errore: sorgente del riferimento non trovata.
xi Nell’ordine: “La Repubblica”, 29.12.2002, p. 30 e stessa testata 31.12.2002 l’intervento di Giampaolo Fabris a p. 25.
xii “E gli uomini servono ancora?”, articolo di Filippo Zizzadoro, “Il Sole - 24 Ore”, 1.12.2003, p. 11.
xiii “D - La Repubbica delle donne”, 04.01.2003, n. 332, p. 110.
xiv “Corriere della Sera”, 2.04.2001, prima pagina.
xv Affernazione di Aldo Carotenuto riportata tra virgolette da “Bresciaoggi” il 4.04.2002 espressa durante la presentazione del suo saggio L’anima delle donne tenutasi a Brescia ed organizzata dal locale Comitato Pari Opportunità. Comunicazione di Eugenio Pelizzari del 5.04.2002.
xvi Nell’ordine: Sandro Bondi, F.I., “Corriere della Sera”, 25.10.2003, p. 10 e Massimo Fini, “Io Donna”, 11.10.2003, p. 70.
xvii Nell’ordine: Breve storia della lingua italiana per parole, allegato al Dizionario G. Devoto - C. G. Oli, Le Monnier, Firenze 2000, a cura di Paola Marongiu, pag. 89 e Fabrizio Galimberti, “Il Sole-24 Ore”, 8.12.1998, p. 5.
xviii “Cioè”, n. 12/2000, p. 44. Donata Francescato, invece, riferendosi ai padri scrive: “…è un buon segnale che …()… ci siano film come Il prigioniero del Caucaso …()… in cui un uomo anziano esce dagli stereotipi maschili e mostra sentimenti paterni”, in Amore e potere, Mondadori, Milano 1988, p. 186.
xix L. Anolli, Vergogna, Il Mulino, Bologna 2000, p. 88.
xx M. Alinei, Origini delle lingue europee - II, Il Mulino, Bologna 2000, p. 87.

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