Top Slide Menu

2.7.8 Due ordinamenti giuridici

E’ di percezione comune il fatto che donne e uomini siano trattati in modo diverso nei tribunali nel senso che le prime, per i medesimi reati, sono regolarmente punite molto meno pesantemente degli uomini, o non lo sono per nulla, come avviene nei casi di infanticidio. Questo si verifica in tutto l’Occidente e viene denunciato sistematicamente dai mascolinisti a documentazione del fatto che il genere femminile rappresenta ormai una sorta di aristocrazia morale a fronte del volgo maschile, ma dietro questa denuncia vi è qualcosa di ben più radicale e profondo. I reati commessi dalle donne sono giustificati da considerazioni di ordine sociologico e motivati dal comportamento specifico dei maschi con cui interagiscono, di qui l’alleggerimento delle pene, ma non è questo il nodo da sciogliere. Abbiamo infatti a che fare non solo con una differenza quantitativa nelle condanne ma con un diverso fondamento dei giudizi a seconda che i reati siano messi in atto da un uomo verso una donna o viceversa. 

Quando è imputata la donna viene presa in considerazione l’intenzione, lo stato emotivo che presiedette al suo comportamento nel rispetto di quella millenaria divisione tra dolo e colpa che rappresenta una caratteristica degli ordinamenti giuridici occidentali. Questa diversa considerazione giuridica del dolo e della colpa è il riflesso del diverso giudizio morale che noi tutti diamo sui comportamenti nostri e altrui in relazione alla presenza o meno nel responsabile della volontà di nuocere. Essa ci garantisce che i danni provocati agli altri contro la nostra volontà dovranno bensì essere risarciti, ma che i comportamenti che li hanno causati non ci trasformano in delinquenti. Questa discriminazione si fonda sulla considerazione che nelle relazioni umane vi possono essere, e di fatto vi sono, effetti non intenzionali, non dipendenti dalla volontà che devono perciò essere valutati ben diversamente dagli altri, si suppone che esista l’errore. Così, in campo penale, come anche in quello civile, si può essere chiamati a rispondere per atti tanto dolosi quanto colposi, nondimeno tra i due esiste una differenza nettissima della cui necessità civile e fondatezza morale nessuno dubita.

Ecco come recita, perentorio ed inequivocabile, il Codice Penale all’art. 42: “Nessuno può essere punito per una azione od omissione prevista dal codice come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. Questo articolo, di importanza capitale, è ancora valido in tutti i procedimenti giudiziari ad esclusione di quelli che vedono i maschi imputati per reati commessi nei confronti delle donne, qui la separazione tra dolo e colpa scompare come se la volontà maschile di nuocere fosse presunta, ed infatti lo è. Un uomo imputato per molestie non può liberarsi dell’accusa campando le sue buone intenzioni e affermando che non voleva offendere e oltraggiare. E’ vero che moltissimi uomini credono ancora che la loro intenzione abbia un peso in questi casi come in ogni altro, ma questa errata percezione della realtà, il cui disvelamento li lascia increduli e stupefatti, nasce dall’impossibilità per loro di immaginare di vivere in un sistema a doppia valutazione giunto ad abolire, per quanto li riguarda, la vitale separazione tra dolo e colpa. La coscienza e la volontà maschili non hanno alcun valore nei tribunali perché non ne hanno più alcuno nel giudizio comune, giudizio che è stato riformato dal femminismo. Quando, in questa città, un vigile fu accusato di molestie per aver baciato sul collo una collega la sua invocata non volontà di nuocere non gli valse alcunché. 

A rovescio, anche di fronte a fatti gravi, il comportamento femminile viene giudicato sulla base delle intenzioni che lo animano. Non molto tempo fa una donna uccise il figlio adolescente e poi si suicidò, i commentatori, noti psicologi, affermarono che il gesto doveva essere interpretato come un atto di malinteso amore, malinteso sì, ma pur sempre amore, finalizzato a sottrarre il ragazzo alla sofferenza del rimanere orfano. Un magistrato del caso Cogne affermò che se anche la madre imputata dovesse essere riconosciuta colpevole non potrebbe “essere trattata come una assassina” nel senso che si deve guardare all’intenzione e non agli effetti.i Questo tipo di approccio ai reati femminili è stato fatto proprio da tutta la magistratura occidentale che ha mutuato dalla GNF e dalle più improbabili correnti scientifiche uno stupefacente campionario di motivazioni psicologiche, dalle più verosimili alle più stravaganti, a giustificazione dei reati femminili e si è giunti da tempo al termine finale di questo corso, la pura e semplice esclusione del dolo. Questa, che è stata definita “psicologizzazione delle sentenze” non ha altro scopo che l’assoluzione delle imputate. A questo si aggiunge la giustificazione e la conseguente derubricazione dei delitti femminili valutati come atti di reazione ai maltrattamenti, alle minacce o all’esasperazione cui la donna è stata condotta dal partner. I procedimenti giudiziari a carico delle donne sempre più frequentemente vengono rovesciati e trasformati in processi contro quei maschi con cui le interessate hanno interagito e che le hanno indotte a tali comportamenti e vengono poi usati contro l’intero genere maschile. Nei comportamenti maschili non esistono errori ed essi non sono giustificabili come atti reattivi, così, mentre i reati compiuti dai maschi sono tutti dolosi, quelli commessi dalle femmine sono tutti colposi.ii
 
Questo doppio criterio è quello stesso codificato dalla giurisprudenza americana, applicato sino alla metà del secolo scorso nei confronti dei reati commessi dai neri contro i bianchi, anche là la colposità e la preterintenzionalità erano escluse. La separazione tra illeciti voluti e non voluti, tra dolo e colpa, elemento che caratterizza interi ordinamenti e intere Civiltà, ci garantisce che saremo giudicati con diverso metro in relazione alla nostra volontà o meno di nuocere. Se così non fosse e le nostre intenzioni non contassero nulla con quale animo interagiremmo con gli altri? Come vivremmo se sapessimo che il valore delle nostre azioni dipende erraticamente dall’effetto che producono sul vissuto altrui mentre al tempo stesso il nostro vissuto è irrilevante perché il nostro dolo è presunto? Maschi e femmine dunque, per quanto possa sembrare inconcepibile, vivono sotto due ordinamenti diversi ed opposti, due sistemi etici separati, quasi in due Civiltà differenti.iii Come vivremmo in questa seconda Civiltà? Vivremmo nell’inquietudine e nella paura, come vivono oggi, a loro insaputa, gli uomini in Occidente.iv

i Fabrizio Gandini, GIP del relativo processo, “Corriere della Sera”, 15.03.2002.
ii Il linguaggio giuridico deforma il significato del termine rispetto alla nozione psicologica ed etica di ‘colpa’; per esso ‘colposo’ è un atto compiuto senza la volontà di nuocere ‘doloso’ è invece quello compiuto al fine di nuocere e che quindi, in realtà, è più “colposo” del primo.
iii Lo stesso Warren Farrell segnala il fenomeno, pur senza approfondirne presupposti e conseguenze. Cfr. Il mito del potere maschile, op. cit, p. 307.
iv M. Iacub, “Io Donna”, 19.04.2003, pp. 51 e ss.

0 commenti:

Posta un commento

I messaggi anonimi non verranno pubblicati.
Inserire Nome nell'apposito campo