Top Slide Menu

3.2c.1 Dinamica ed estatica

Le donne affermano che la sola cosa che gli uomini apprezzino in esse è il corpo, di questo si interessano e solo di questo si occupano. E’ difficile negare la verità di questa affermazione che pur mira a rappresentare la grettezza del punto di vista maschile, la meschinità degli interessi e delle passioni degli uomini. Luogo comune usato come strumento di denigrazione e non per questo falso, che però, al pari di tanti altri, ha una seconda faccia sulla quale sta incisa una verità utile agli uomini, essa dice che per essere amate e pensate, onorate e corteggiate, mantenute e protette, celebrate e cantate le donne non hanno alcun bisogno di agire, nessuna necessità di fare alcunché. Esse sono ammirate e desiderate ed occupano la mente degli uomini per il solo fatto di esistere e di avere un corpo, precisamente il contrario di quel che avviene per gli uomini i quali per rendersi visibili, per tentare di farsi ammirare non hanno altra scelta che l’azione, altra chance che il fare

Le donne, come proclama la GNF, non si interessano tanto del corpo maschile quanto di altre qualità, di altre doti, autocelebrando in tal modo la superiorità dei loro interessi rivolti alle qualità morali, intellettuali, emotive degli uomini a fronte della miserabile grettezza di quelli maschili, tutti fissati sulla carne. Un confronto insostenibile, ma proprio questo prova che gli uomini non vengono valutati per quel che sono ma per quel che fanno, solamente in base alla loro capacità di agire e di produrre qualcosa di buono e di utile per le donne. Tutto accade come se queste trovassero il loro valore nell’essere e gli uomini nel fare. Se questa verità fosse vera si capirebbe perché le donne preferiscano gli uomini che stanno in alto nella scala sociale, rango cui essi non pervengono in forza della bellezza ma in seguito ad un fare. Non si acquista fama nell’arte, nella scienza o in politica sulla base dell’estetica ma di quel che il corpo fa sotto la guida del cervello. Anzi, deformità fisiche e malattie croniche sono alla base di moltissime opere ed invenzioni come se gli uomini non potessero trovare la loro realizzazione e il loro valore in altro che in ciò che sanno fare. Si spiegherebbe allora perché i ragazzi cerchino di attirare l’attenzione con comportamenti esuberanti, le famose bravate, correndo rischi e magari facendosi del male, facendo chiasso o distruggendo qualcosa, mentre le ragazze siano immuni da tutto ciò. Una gonna tre centimetri più corta, un paio di jeans ancora più attillati, un altro bottone dimenticato e il gioco è fatto. Come reggere il confronto? Da una parte la necessità di fare anche a costo di distruggere e distruggersi, dall’altra un semplice mostrare ciò che si è. Non c’è paragone. 

Non c’è paragone tra il valore intrinseco che si eredita alla nascita e quello che, partendo da zero, ci si deve guadagnare con l’azione perché non vi è altro modo. Non c’è paragone tra l’innocenza che si conserva nel non agire a fronte del rischio che   come un’ombra   segue ogni azione, ogni movimento del corpo e che invariabilmente conduce all’errore, al guasto, all’illecito di cui si diventa responsabili, colpevoli. Non c’è paragone tra l’irresponsabilità della passività e le minacce che gravano sull’attività, non è della prima che si occupano le statistiche degli incidenti, dei fallimenti e delle sconfitte, quelle liste dell’Errore e del Male che vengono brandite quotidianamente e sventolate davanti agli occhi (all’anima) degli uomini a milionesima riprova di quella miscela di temerarietà, scelleratezza e stupidità da cui “non vogliono guarire”. 

Sino all’avvento del femminismo, sin quando cioè era riconosciuta la diversità naturale tra i due, tutto l’insieme dei danni che la vitalità, la curiosità e l’entusiasmo maschili provocavano (virtù fornite dalla natura a coloro che hanno nell’azione il solo valore) erano posti a confronto dei benefici che da sempre donavano a tutti, qualità senza le quali, si pensava, il mondo stesso non esisterebbe. Anche quando provocavano disturbo e danni, il biasimo e la condanna si limitavano a questi mentre l’azione in sé e le pulsioni che la motivavano conservavano intatto il loro apprezzamento etico ed estetico poiché si intendeva che se anche gli esiti erano talvolta sfavorevoli al singolo o alla collettività, nondimeno l’energia e le qualità da cui si originavano erano un dono della natura, un modo di manifestarsi della vita tanto grande ed ammirevole quanto la statica bellezza del corpo femminile, splendore estetico che è manifestazione unitaria di un valore inestimabile di altra origine da cui proviene e a cui rimanda. 

Uscendo da un seggio elettorale mi imbatto in una coppia con due figli. Il bambino è un’esplosione incontrollata di vitalità, la madre, indispettita, si lascia andare: “La prima non è mai stata così e neanche questo fino a poco tempo fa. Non capisco perché ad un certo punto debbano diventare così cattivi”. Da oltre la recinzione, non interpellata, una vecchietta grida con voce alterata: “Ma no! No! Non sono cattivi, sono vivaci!”. Con l’avvento del femminismo una simile interpretazione era destinata al ridicolo. I danni provocati dall’esuberanza, dall’impeto e dalla vivacità maschili non sono più il tracimare della vita che rischia mentre vive, rischia perché la fine del rischio è la fine della vita stessa e che disturba perché altera la quiete eterna della materia, non più il prezzo che il genere maschile paga per entrambi. Come accade in ogni ideologia, l’errore non fu più sinonimo di mancata conoscenza e di evento necessario al suo incremento ma il frutto di una volontà orientata al male. In questo modo quello che è il padre di ogni conoscenza originaria, l’Errore, manifestazione contingente locale di quel Caso che ha generato ogni cosa esistente, veniva assegnato ad una nuova stirpe, quella del Male. Non più errori, misfatti.

0 commenti:

Posta un commento

I messaggi anonimi non verranno pubblicati.
Inserire Nome nell'apposito campo