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3.2.3 Nuova partizione della storia

I periodi storici sono suddivisi classicamente in tre grandi epoche, la prima è rappresentata dallo stadio della caccia e della raccolta, la seconda da quello agricolo, la terza da quello industriale. Questo è a sua volta ordinariamente suddiviso in società industriale vera e propria (nella quale prevale l’azione sulla materia, società dell’industria pesante) e società industriale avanzata, denominata anche società postindustriale, centrata sui servizi e sull’informazione. Arricchite da queste considerazioni, le partizioni economiche della storia possono ora diventare quattro, aggiungendo ai primi tre classici stadi un quarto, autonomo e separato dal terzo, quello della società postindustriale. I passaggi dall’uno all’altro sono avvenuti in ogni regione del mondo in tempi diversi, beninteso laddove sono avvenuti, perché è vero che esistono ancor oggi società della caccia-raccolta, come pure società agricole. Per le nostre argomentazioni, che riguardano i rapporti tra i sessi, è importante rilevare come e quanto quei diversi passaggi abbiano inciso nel reciproco bisogno e perciò nella vicendevole dipendenza, con particolare riferimento alla trasformazione della società industriale in quella postindustriale. 

L’economia della caccia raccolta e quella agricola, per quanto separate da quella che viene chiamata ‘rivoluzione agricola’ e pur profondamente diverse, sono tuttavia entrambe fondate sull’integrazione tra le attività maschili e quelle femminili. La divisione dei ruoli economici fondata su base biologica è evidentissima nel primo stadio dove gli uomini si dedicano alla caccia ed alla pesca e le donne alla raccolta mentre appare più sfumata nella società agricola le cui attività sembrano poter essere svolte indifferentemente dagli uni o dalle altre tanto da far sospettare che le donne potrebbero automantenersi già in una società di questo tipo. Una simile ipotesi però è del tutto erronea perché tra le attività che l’agricoltura richiede ve ne sono sempre alcune che risultano impraticabili per le donne giacché questa ha sempre richiesto, ed ancora richiede, quei momenti di applicazione intensiva della forza fisica, che, pur se limitati e distribuiti nel tempo, solo il corpo maschile può garantire. In queste due società entrambi contribuiscono nei limiti delle loro possibilità al sostegno economico del gruppo familiare. L’attività agricola poi, centrata sulla famiglia, si effettua per entrambi nello stesso luogo, sullo stesso terreno, fatto questo che impone l’integrazione e la coordinazione delle azioni dei due e che rende impossibile la quantificazione del diverso contributo e quindi l’assegnazione di un diverso valore al lavoro dell’una rispetto a quello dell’altro. Nessuno dei due può pensarsi o essere ritenuto più importante dell’altro sulla base del suo contributo economico. Giacché produce al pari dell’uomo, là non esiste alcuna dipendenza economica della donna né alcuna “relegazione” femminile in casa che sia maggiore di quella maschile e, se esiste, non dipende dalla struttura economica. Non esiste alcun salario e quindi nessun maschio che lo sbatta sul tavolo urlando: “Sono io che vi mantengo qui dentro!”. 

Nessuno dei due può vivere e mantenere la prole senza l’altro e la vita economica dei due sessi è inestricabilmente intrecciata e vincolata dal reciproco bisogno. Questo fatto contraddice la verità femminista secondo cui la dipendenza economica sarebbe da sempre la prima causa della sottomissione delle donne superata solamente con l’avvento dell’emancipazione. A tutto questo pone fine comunque la società industriale. Le famiglie escono dalle campagne e vanno a vivere nei sobborghi cittadini, i maschi vanno a lavorare nelle manifatture, nelle ferriere, nelle miniere e nei cantieri e le femmine, ora sì, finiscono relegate in casa ed alle dipendenze economiche del maschio. Relegate e dipendenti ma al tempo stesso e per la medesima ragione anche protette e garantite dal reddito maschile (per scarso che fosse). Cosa facevano a casa? Allevavano i figli, ma non più come al tempo dell’agricoltura quando lavoravano due volte, ora a casa non possono che dedicarsi esclusivamente alla famiglia e sono tanto fuori dalla vita economica e sociale (sindacato, partito, vita associata) quanto anche dalla consunzione, dalle fatiche, dai rischi, dai pericoli e dalla morte sul lavoro e per il lavoro. La diversità nella aspettativa di vita tra i due Generi nasce in questo momento e qui pure si origina la grande crescita demografica.i Le trasformazioni portate dalla società industriale sono state enormi ma non hanno mutato la condizione di reciproco bisogno tra i maschi e le femmine, ne hanno solo modificato i caratteri. Vincolati come prima e più di prima.

La dipendenza economica femminile è però correlata all’obbligo maschile di provvedere in solitudine al sostentamento economico della famiglia. Dal punto di vista del bisogno la rivoluzione industriale non ha prodotto alcun mutamento nella relazione tra i sessi, limitandosi a mettere in evidenza che esso, pur essendo paritario, si fonda però, in ultima istanza, su due ragioni diverse, economica quella femminile e sessuale quella maschile. Infatti, mentre le donne si sposavano per poter vivere, gli uomini da quel contratto non traevano altro vantaggio che il sesso e la manutenzione. Non sposandosi per ragioni economiche, come si poteva immaginare in età agricola, rivelavano di farlo per altri motivi, per altri bisogni. 

Il matrimonio, inteso come istituzione maschilista, era appunto il contratto con il quale alla donna   non tanto impossibilitata quanto artatamente impedita ad automantenersi   veniva garantito il mantenimento in cambio delle prestazioni sessuali. Nella bilancia del bisogno la grande rivoluzione industriale, celebrata come sconvolgimento del mondo, non produsse altro che una divaricazione delle vite tra i due, ma non intaccò la reciproca indispensabilità. Nessuna rivoluzione nel rapporto tra i sessi.

Sulla base del principio reddito=potere il femminismo considera la dipendenza economica come il fondamento di ogni altra sottomissione, di qui la necessità dell’emancipazione. Se questo è vero si deve però ricavare che prima dell’avvento della società industriale le donne non si trovavano in un condizione subordinata perché, come abbiamo visto, il loro contributo economico era sostanzialmente pari a quello dell’uomo.

Nondimeno la condizione della donna nelle società agricole non viene dipinta in termini migliori di quella nella società industriale giacché l’intera storia è storia di oppressione, dal che si dovrebbe ricavare che quell’articolo di fede è falso, che l’indipendenza è irrilevante ovvero che non è connessa alla produzione del reddito ma al diritto ad esso, chiunque sia che lo produce e che lo porta a casa. Non potendo essere economico, il fondamento della soggezione in epoca agricola viene allora assegnato alla preponderanza fisica maschile, intendendo che il sistema paternalista si era imposto sulla base della violenza e della paura che i maschi possono incutere. Due cose risultano allora inspiegabili. La prima è l’ipotizzata esistenza di società matriarcali ginecocratiche la cui nascita risulta impossibile se è vero che il potere maschile deriva dalla prevalenza fisica la quale era comunque presente anche nei maschi viventi in quelle società. La seconda è che l’era della parità è impossibile sempre e comunque perché i maschi ancor oggi hanno e sempre avranno una potenza fisica superiore. 

Nondimeno   e la GNF lo conferma   si vede che le cose non stanno così e che né le condizioni economiche né la questione fisica formano la base dei rapporti tra i Generi. Nessuno di questi due ordini di cose impone la forma dei rapporti correnti tra i due, altrimenti il femminismo avrebbe dovuto prima modificare le condizioni economiche, rivoluzione dalla quale sarebbero derivati tutti gli altri mutamenti. Ma rivoluzione economica fu quella d’Ottobre, la quale, secondo il femminismo, non intaccò il potere maschile ed infatti i mutamenti maggiori avvennero proprio al di qua della Cortina di Ferro, tra i quali va annoverata, non è il caso di dimenticarlo, la nascita dello stesso femminismo.

i Aspettativa di vita alla nascita in Italia 1899-1902: M 42,6 - F 43,0 anni. Fonte Istat - ADN Kronos, Roma 1994.

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