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3.2.4 La rivoluzione postindustriale

In apparente contraddizione con tutto questo anche l’economia ha la sua parte e ce l’ha precisamente quando al suo mutare si alterano le condizioni di esistenza dell’uno rispetto all’altra e si frantuma la simmetria nel bisogno e questo è appunto il prodotto della società postindustriale, quella nella quale le risorse immesse nei e ricavate dai servizi sono superiori a quelle degli altri comparti, o, detto altrimenti, nella quale l’intervento sulla materia è secondario rispetto a quello del servizio alle persone e del trattamento dell’informazione. Mentre la modifica del mondo materiale (società industriale) richiede poche energie estensive (polarità femminile) e molte intensive (polarità maschile), nella società postindustriale queste ultime non sono più necessarie, se non in senso residuale. Laddove e quando non si faccia più questione di energia fisica, di forza fisica e dove il rischio sia escluso, allora quel che fa un uomo lo può fare anche una donna. Verità inconfutabile. Questa è la chiave che ci permette di entrare nel nuovo mondo, quello che apre alle donne   per la prima volta da sempre   la possibilità di mantenersi senza il contributo maschile. 

Alla fine della II Guerra Mondiale, prima negli Usa e poi altrove, milioni di posti di lavoro si aprono per le donne nel settore impiegatizio privato e pubblico, nell’educazione, nella sanità e nel settore dell’assistenza e poi si espandono progressivamente con il crescere dei servizi ed infine esplodono con l’apparire della società dell’informazione. Oggi, come un tempo, non ci sono donne nei cantieri, nelle cave e nelle miniere, sui porti e nel mare, ma ci sono donne in ogni attività economica compatibile con la costituzione fisica femminile e con l’orientamento psicologico ad evitare il rischio, segnatamente nel settore pubblico di tutti i paesi industrializzati talvolta in proporzioni di assoluta prevalenza; perciò, ai nostri fini, la storia dell’umanità può, e deve, essere divisa in due grandi ere. Quella nella quale le donne non potevano autosostentarsi senza il contributo maschile e quella nella quale ciò è possibile. La prima comprende ogni forma di economia che non sia quella della società postindustriale e la seconda coincide con l’avvento di questa. Nella prospettiva del conflitto tra i sessi la vera grande rivoluzione economica della storia è quella, silenziosa e progressiva, che è maturata dapprima negli Usa nei primi anni Cinquanta e poi in tutti gli altri paesi industrializzati, quella che ha garantito alle donne la celebrata emancipazione. Con la società postindustriale la bilancia del bisogno ha perduto il suo equilibrio e lo ha perduto per sempre. 

Ho affermato sopra che l’economia è decisiva ed al tempo stesso che non lo è, in una apparente contraddizione che deve ora essere sciolta. Se maschi e femmine non fossero diversi, se cercassero l’uno nell’altra benefici e soddisfazioni dello stesso genere a soddisfacimento di bisogni dello stesso grado non vi sarebbe rivoluzione economica capace di alterarne i rapporti, se invece l’economia influisce, come è accaduto, è perché esiste una disimmetria nei bisogni. La società postindustriale ha dunque creato le condizioni per l’agognata emancipazione femminile e ci si può chiedere, con una anticipazione del nostro discorso, in cosa potrebbe consistere una corrispondente emancipazione maschile. Se l’automantenimento rende libere le donne, cosa potrà rendere liberi gli uomini?

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