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3.6.5 Il mito delle Amazzoni

Quel famoso mito, che per alcuni, quale Bachofen,i rappresenterebbe addirittura la trasposizione leggendaria di una realtà storica, parla di una condizione di separazione totale delle femmine dai maschi con i quali esse interagiscono solo ed esclusivamente a fini riproduttivi, dove le donne godono di vita autonoma ed indipendente e tengono con sé i figli maschi sin quando non diventano sessualmente maturi per poi allontanarli. Lasciamo stare la questione se un mito rappresenti meramente l’espressione culturale di profonde realtà psichiche immutabili ma storicamente sterili o possa invece diventare la prefigurazione di uno scenario futuro ed indicare una direzione di sviluppo umano possibile, un’aspettativa profonda che attende, per realizzarsi, le contingenze storiche adatte, una sorta di utopia della natura; contano comunque la sua struttura ed i suoi contenuti, quel che esso ci dice e, nel caso delle Amazzoni, esso parla della separazione tra i sessi come di una condizione di libertà per le donne ma descrive anche una situazione nella quale esse non hanno alcun tipo di attività sessuale se non quella necessaria alla riproduzione e non desiderano averla, una condizione di disinteresse, di indifferenza totale alla vita sessuale. 

Questo fatto è sempre passato inosservato e non si può certo pretendere che la letteratura femminista, che pure a quel mito sempre si riferisce, lo ponga in evidenza. Esso sembra dire chiaramente (ancorché sorprendentemente) che nel profondo del femminile non esiste alcun desiderio sessuale originario, alcun bisogno di sesso fine a se stesso, viceversa parla della relazione sessuale come di una relazione puramente strumentale ed il fatto che quest’inquietante affermazione sia contenuta in un mito fatto proprio dal femminismo non può essere senza significato ma deve raccontare e tradire una verità profonda, quasi inconcepibile, che suona persino assurda là dove suggerisce che la vera libertà femminile includerebbe la fine della relazione sessuale, l’esclusione di ogni rapporto, in altre parole la liberazione dal sesso, una prospettiva di portata capitale che ha dell’inverosimile. 

D’altra parte è sensato chiedersi come sarebbe stata possibile la creazione di un simile racconto se non esistesse almeno un’ombra, un vago ed indeterminato sentimento di quella verità che esso proclama: la vita sessuale come un fardello e perciò, al più, come strumento. Ma il significato straordinario di quel mito, assai più che nei suoi pur inquietanti contenuti, risiede nel fatto che non ne è mai esistito alcuno simmetrico creato dagli uomini e che li veda protagonisti in tal senso. Non esistono né miti né leggende che rappresentino come ideale per gli uomini la loro separazione dalle donne e l’abolizione della vita sessuale, al contrario, la disponibilità e il possesso di molte femmine è spesso parte integrante del premio che miti e religioni promettono ai maschi nell’Aldilà e quello dell’harem è il loro sogno apertamente confessato giacché non possono concepire una condizione di felicità terrena (e talvolta Celeste, appunto) che non veda al suo centro il sesso ed il coito. 

i J. J. Bachofen, Il Matriarcato, Einaudi, Torino 1988 (1861).

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