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3.8c.5 Rieducare gli uomini

Sono gli uomini che debbono cambiare, non noi!” e quel cambiamento deve essere già avvenuto se è vero, come è vero, che le femministe se ne vantano pur assicurando che è lungi dall’essere completo. Negli ultimi anni agli infiniti momenti informali nei quali quella conversione viene evocata, attivata e promossa, si sono aggiunte occasioni istituzionali mirate esplicitamente, ancorché in forma dissimulata, al perfezionamento del processo. Si iniziò dapprima negli Usa dove i corsi di “buon comportamento” vengono attivati non solo nel settore pubblico, ma anche da grandi imprese private, le quali, costrette a sborsare fior di milioni a seguito di condanne per molestie, hanno iniziato ad avviare in massa i loro dipendenti verso le grandi sale aperte finalmente all’insegnamento femminista coatto. In Italia la tendenza si è sviluppata di recente e si va lentamente diffondendo.

Per favorirne l’accettazione, questi corsi, annunciati sotto formule innocenti, vengono presentati in una veste dolce e innocua dando ad intendere che siano finalizzati alla crescita collettiva, alla maturazione comune, ad una nuova civilizzazione, lasciando credere che siano rivolti anche alle femmine, ecumenismo suggellato talvolta dalla presenza di maschi nel Comitato promotore. Si cerca in tal modo di fugare il sospetto, vago ed indeterminato, che si tratti di un momento di condizionamento mirato, progettato componendo le acquisizioni della psicologia scientifica e le finezze di quella intuitiva. Per dissimularne gli scopi si concede benevolmente che “anche le donne devono cambiare” fingendo che La Docente e i discenti siano sullo stesso piano. Si fa affidamento sul fatto che i convocati negheranno per primi di fronte a se stessi il sentimento di disagio che li pervade e li si aiuta perciò a liberarsi del sospetto che si stiano prestando ad un processo dai fini inconfessabili. Rassicurati in tal modo gli uomini, la procedura incomincia.

Si inizia ricapitolando ancora una volta, un blando richiamo, i secolari torti patiti dalle donne per rievocare nei presenti la loro Colpa di Genere, rinnovando in essi l’imbarazzo di sentire ciò che sentono e di essere ciò che sono, mentre però si dà atto con condiscendenza che “…dei nostri colleghi, dei nostri maschietti, in fondo non ci si può lamentare”. Catturati in questo modo, si inizia a parlar loro di molestie visibili ed invisibili, di discriminazioni palesi e occulte, di disparità dissimulate e manifeste, di offese dirette e oblique. Si insegna che il giudizio sul comportamento maschile è di competenza della donna che lo riferirà al suo vissuto e, al tempo stesso, che l’intenzione degli uomini, il vissuto maschile, è irrilevante. Si definisce con precisione cosa siano discriminazioni e privilegi, offese e molestie mentre si rammenta che spetta alla donna qualificarle a posteriori secondo il suo sentire come spetta a lei ridescrivere i veri scopi che animano i comportamenti maschili. Si richiamano avvenimenti di ogni epoca e di ogni luogo, si usano aneddoti e metafore, le più sottili, per rappresentare quella fantasmagoria di modi con i quali si esprime in ogni ambito, dissimulata e negata, la pulsione alla discriminazione, alla denegazione, alla forclusione del femminile.

Si indicano poi i modi e le forme cui il linguaggio e il comportamento maschili debbono attenersi, le corrette linee guida dello studio e della ricerca, per gli uni, dell’applicazione intellettuale e operativa per gli altri. Si esemplifica in qual modo si debba coltivare quel pensiero cosciente che vigila con prudenza sui propri fondamenti e sulle proprie conclusioni e si suggeriscono amabilmente i modi con i quali far emergere dal profondo i princìpi occulti, le derive emotive che presiedono all’elaborazione di un pensiero e di un’azione antifemminili che solo al soggetto   misoginia latente   paiono innocue e innocenti. In questi contesti, ancor più che altrove, vi è la certezza che nessuno oserà svelare, e con ciò svellere, i contenuti dell’insegnamento giacché si sa bene che la bocca degli uomini è murata dalla paura della canzonatura e dell’irrisione, dal terrore di essere bollati come deliranti maschilisti. Rieducazione è il vocabolo che aleggia, lo spettro che si aggira in quelle sale, e se non è rieducazione, quanto dista da essa? Se di questo si tratta, non sarà certo chi lo promuove ad ammetterlo e confessarlo. Lo potranno allora fare gli uomini? E dove troveranno il coraggio di riconoscersi così profondamente umiliati e offesi e di denunciare il fatto che, come scrive Rich Zubaty “La manipolazione emotiva delle donne sugli uomini è il grande inconfessato abuso della nostra era.”?i


i R. Zubaty, Surviving the feminization of America, gentilmente trasmessomi in versione e-book dall’autore nella nuova edizione dal titolo What men know that women don’t Virtualbook.com & Zubaty Publishing, College Station - Kaunakakai 2001.

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