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3.3.21 Nessun errore

Per convergente affermazione dei maschilisti del passato e del femminismo nel presente, come la regola è maschile così la deroga è femminile, rimedio a quella che il femminismo definisce “l’ossessione maschile per le regole” fredde e impersonali che prescindono dalle caratteristiche qualitative delle diverse situazioni, ossessione che oggi informerebbe di sé il mondo e che deve essere femminilizzata con l’apertura sistematica alla deroga. Si vede quanto una simile dichiarazione combaci con l’opinione tradizionale secondo cui “la donna è mobile”, affermazione stigmatizzata come pregiudizio maschilista. Il diritto di “cambiare idea”, di inseguire i diversi stati emotivi a seconda del loro mutare (propensione femminile assurta a ‘filosofia del pensiero nomade’)i è certamente una bella cosa ma per poterla praticare è necessario che i consimili siano obbligati a subirne le conseguenze, quali esse siano, è necessario che i sentimenti dell’Altro non abbiano alcun valore. 

Immaginiamo che i maschi sentano il bisogno di rispettare quei patti comportamentali di cui sono intessute le relazioni umane in quanto formano il quadro di riferimento del loro agire e al di fuori del quale si trovano disorientati e inibiti. In questo caso la pratica del “…va’ dove ti porta il cuore” risulterebbe altamente molesta, il subire il mutamento erratico del giudizio altrui altamente sgradevole e quella pratica diverrebbe moralmente lecita se e solo se il disagio maschile fosse totalmente irrilevante ed infatti è lecita perché il suo effetto sugli uomini non ha importanza. La fine della regola oggettiva, impersonale, rimanda tutte le valutazioni, e la stessa definizione della realtà, allo stato psicoemotivo soggettivo, ossia al vissuto di colei che ha il potere di sanzionare e governare il comportamento altrui, il dover essere del mondo. E’ ormai accettato che il concetto di reato antifemminile si sia tanto esteso da restare privo di una sia pura vaga definizione, tanto che le femministe più smaliziate hanno iniziato a segnalarloii ma l’assenza di definizione non può essere casuale perché non sono mancati né il tempo né le conoscenze in campo psicologico per elaborarne una, per collocare dei segnali in grado di preinformare gli uomini sulla frontiera tra il lecito e l’illecito. Tutto è avvenuto come se l’assenza di ogni definizione fosse nell’interesse femminile e la regola qualcosa di estraneo, di ingombrante per quella parte dell’umanità. Il forte non accetta le regole, non vuole saperne di leggi, è il debole che chiede confini, ma qui è facile essere ingannati dal fatto che il femminismo ha ottenuto un gran numero di leggi a favore delle donne e scambiarle per definizioni, al contrario, tutte le norme della “tolleranza zero” hanno aggravato le pene e mai definito il reato. 

Nessun confine al comportamento e nessuno al dovuto risarcimento. Nessuna quantificazione è stata data all’ammontare del credito maturato e perciò al risarcimento, alla quantità di sofferenze che gli uomini devono patire per trasformarsi, al grado di conversione che devono accettare, alla quantità di quel potere che ancora manca alle donne. Non si è mai saputo quale debba essere lo stato di quella società nella quale finalmente la parità sarà stata raggiunta affinché non si sappia mai se e quando il debito maschile sarà saldato, la conversione compiuta: “Maschio, quando cambierai?”.iii Senza confini è l’espansione del potere morale femminile, il male bashing, il men pushing, senza definizione i torti e le offese, senza frontiere il pestaggio morale, il dovuto abbassamento della prepotenza degli uomini. Senza fine la battaglia contro il maschilismo, senza tregua la guerra contro la peste misogina. L’assenza di confini non è una dimenticanza e quella forma vivente che ha atteso per centomila anni l’era dell’inutilità maschile non sta commettendo alcun errore. Il femminismo non sbaglia.

i G. Deleuze, La pensée nomade, in Nietzsche PUF, Paris 1965, trad. it. a cura F. Rella, Bertani, Verona 1973. Vedi anche di R. Braidotti, Soggetto nomade, Donzelli, Roma 1995.
ii Ecco qualche nome di ex, post o neofemministe che da diverse angolature criticano alcuni “successi” del femminismo: F. Badinter, Sue Hindmarsh, M. Iacub, Donna Lafambroise, Doris Lessing, Wendy McElroy, Camille Paglia, Daphne Patai, Erin Pizzey, Cathy Young.
iii “Album” de “La Repubblica”, 13.10.2001, prima pagina.

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