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3.4.1 Senza parole

Quel ragazzo che abbiamo lasciato alla “Grande muraglia” sotto la pioggia delle accuse rivolte apparentemente contro il suo Genere ma di fatto contro di lui, tenta di parlare ma non ci riesce, non riesce ad aprire l’ombrello per proteggersi da quello stillicidio raccontando la sua verità e ciò per due ragioni. La prima consiste nel fatto che il racconto che egli potrebbe fare di sé è svuotato di ogni credibilità e valore, la seconda in quanto egli stesso non è in grado di esprimersi, né per concetti né con metafore, perché non esiste una Grande Narrazione Maschile dalla quale egli possa attingere parole e idee, immagini e simboli capaci di rivelarla, in breve, perché dall’esterno non gli viene riconosciuta la legittimità a farlo e, dall’interno, egli stesso ignora caratteri e forma del suo esperire. La sua esperienza è negata da ognuno dei due versanti perciò tace o, al più, balbetta. Vi è una ragione evidente per negare a chicchessia il diritto di parlare, essa consiste negli effetti che il suo racconto può produrre sul nostro comportamento, sulla nostra posizione nel mondo. La parola infatti non solo può mettere in moto movimenti collettivi, ma già prima, sul piano delle relazioni individuali, ci condiziona, ci suggestiona e ci responsabilizza ed è dunque vantaggioso per noi che l’altro taccia o, se parla, che lo faccia come noi vogliamo descrivendo se stesso ed il mondo nei termini che noi stessi gli suggeriamo e magari con le nostre stesse parole. In questo conflitto è dunque necessario che agli uomini sia impedito di parlare e che venga sottratto ogni valore alle loro parole.

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