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2.5.2 L'aggravante mancante

Nel 1996 fu approvata la nuova legge contro le violenze sessuali, scritta di pugno dalle parlamentari, con la modifica dei relativi articoli del Codice Penale. Tra le altre cose, in precedenza era stabilito, a tutela delle persone in condizioni di inferiorità psico-fisiche, che colui che avesse avuto rapporti sessuali con queste ultime subisse una pena da tre a dieci anni. Da questo derivava inevitabilmente che disabili e malati di mente erano impossibilitati ad esercitare mai quell’elementare diritto, perciò, nel consenso universale, quell’articolo fu abrogato. Grazie alle donne un’altra discriminazione era stata abolita e si parlò di una conquista di civiltà. 

Nell’aprile del 1999 a seguito di un processo per stupro di una donna incinta (con relativa condanna dell’autore), la Cassazione riconobbe però che il particolare stato di quella donna non costituiva aggravante, proprio in relazione al fatto che l’art. 519 del C.P. era stato abrogato. Nel pieno tradimento della verità ne nacque una campagna di condanna universale contro la Corte, contro “la cultura del disprezzo” con l’intervento di opinion-makers, intellettuali e donne di ogni estrazione che scrissero indignate ai quotidiani ed ai settimanali femminili. Quel fatto dimostrava che la “Cultura dello stupro”, nonostante quel che si dice, non è ancora morta, che gli uomini della magistratura ne sono intrisi e che giudicano ancora come un tempo “supportando e giustificando gli stupratori” come se trentacinque anni di lotte femminili non ci fossero state. “Sentenza killer”, “Sentenza scandalosa che coltiva una cultura di morte”. In quella occasione intervenne però Tiziana Parenti, ex magistrato e coautrice della legge, la quale confessò: “Che una donna sia incinta non è un’aggravante specifica perché la legge non la prevede e la legge l’abbiamo fatta noi”.i Fu così. I giudici non avevano fatto altro che applicare in modo corretto quella norma voluta e dettata dalle donne. Questa voce leale e coerente fu la sola che si riuscisse ad udire nello sdegno universale. 

Settimane dopo vi fu chi commentò “a freddo” la sentenza e le relative reazioni, ecco come: “La Cassazione è stata ancora una volta ingiustamente posta in stato di accusa da una pletora di commentatori più o meno disinformati che hanno vivacemente protestato...”.ii Secondo costui dunque si sarebbe trattato ancora una volta di un errore, ancora una volta fior di giuristi, parlamentari e giornalisti della cronaca giudiziaria avrebbero equivocato. Si vede qui all’opera quella cecità degli uomini che impedisce loro di correlare i fatti, di unirli con un filo che li renda comprensibili, di vedere la pianta da cui cadono i frutti. Il femminismo inventa un delitto giudiziario-morale inesistente a carico degli uomini della Cassazione, e quindi di tutti gli uomini, e riconduce questo “fatto” alla pianta, la “Cultura della sopraffazione”. Dal canto loro, gli uomini, persino quelli che pensano di essere critici, non riescono viceversa a vedere questa sistematica invenzione delle sentenze come strumento della guerra morale contro il genere maschile, in tal modo l’unico vero fatto indiscutibile, ossia la creazione artificiale di una sentenza antifemminile mai esistita rimane isolato, slegato da ogni correlazione che gli dia senso, viene visto e commentato come un abbaglio, un fatto senza causa e quindi senza rimedio. Il reiterarsi di queste sentenze inventate non conduce mai gli uomini ad ipotizzarne una causa comune. 

Ad una donna in quella occasione fu lecito parlare contro dicendo la verità, essa sola poté alleggerire il carico morale degli uomini della Corte e di tutti gli italiani come se al di sopra di tutto esistesse un potere cui la stessa Corte è sottoposta, come se Etosfera esistesse veramente e quel regno fosse dominato dal genere femminile, unico giudice del bene e del male. A cosa serve l’invenzione delle sentenze? A mostrare ancora e sempre la condizione di vittime delle donne che ogni giorno affondano nella palude del male creato e volutamente, coscientemente alimentato senza sosta dagli uomini. Colpevolizzare, colpevolizzare senza tregua, far sentire agli uomini ogni giorno il grido disperato della donna che affoga per evocare ancora una volta il loro cavalleresco gettarsi in aiuto, per provocare ancora una volta l’effetto Titanic. La colpa ed il debito.

Ma agli occhi degli uomini di questa inquietante stagione, ‘i frantumati’,iii appaiono sempre e solo fatti isolati, solo i frutti e mai la pianta. Qui un magistrato interpreta male, là un giornalista equivoca, qui “interessi occulti ma palesi” stravolgono la realtà, là sorgono incomprensioni. I frantumati vedono solamente una malapianta, la loro.

i “Corriere della Sera”, 10.04.1999, p. 16. Il fatto che lo stato della donna non costituisca un’aggravante discende da una scelta oculata e da tutti approvata, in special modo dal femminismo. Solo con questa esclusione infatti si rende possibile ad una donna handicappata fare del sesso senza che il partner ne venga incriminato. E’ stata con ciò superata una norma che discendeva dall’ideologia della “difesa della razza”.
ii L. Migliorini, “Il Gazzettino”, 26.40.1999, p. 16.
iii Concettualizzazione di Giuseppe Albertini, comunicazione personale, novembre 2003.

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