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2.5.3 Slealtà senza fine

Il nuovo codice di procedura penale prevede la possibilità per l’imputato di evitare la sentenza da processo attraverso il c.d. ‘patteggiamento’, che consiste nel riconoscersi colpevoli per ottenere cospicui sconti sulla pena presunta-prevista. Al momento della sua approvazione nessuno riuscì a vedervi alcuna ombra di discriminazione antifemminile e neppure ora si riesce a scorgerne alcuna, tuttavia c’è. Le femministe hanno “scoperto” che il patteggiamento è ammesso anche nei casi di reato antifemminile tanto che, accusati ad esempio di stupro, gli uomini patteggiano e vedono così sensibilmente ridotte le pene. Il patteggiamento è una possibilità offerta a tutti dal nuovo codice ma suona inconcepibile che un uomo accusato da una donna possa avvalersene, così è iniziata l’erosione del principio di eguaglianza nella procedura penale sotto la spada della intollerabilità, dello sdegno che suscita il patteggiamento nel caso di violenza alle donne. 

La parità di trattamento nella procedura incomincia finalmente ad apparire discriminatoria, come se esistessero due forme di delitti, due qualità diverse di mali, quelli che gli uomini infliggono agli uomini, da una parte, e quelli che infliggono alle donne, dall’altra, come se le due parti del mondo avessero un diverso valore perché solo quando esistono classi morali diverse tra gli umani, una sovrapposta all’altra, solo allora oltre alla sanzione cambia la procedura. Quello citato è uno di quei casi nei quali accade questo stupefacente fenomeno; esiste o viene approvata una legge che nessuno critica o che addirittura raccoglie il consenso universale, celebrata come una conquista di civiltà, succede però, e per questo la legge esiste, che venga applicata e che in ciò si possa intravedere una limitazione delle prerogative femminili o una riduzione delle sanzioni a carico dei maschi. E qui esplode la giusta rabbia, la sacrosanta indignazione di coloro che trovano nell’origine maschilista della norma o nella misoginia dei giudici il vero motivo della sua adozione, qui nasce lo sdegno di coloro che vedono immediatamente quel che essi stessi non videro, le ragioni occulte che portarono gli uomini ad approvarla e ciò vale anche se la legge fu concepita e scritta di pugno dalle donne e approvata dalle femministe come quella citata poco innanzi. Ecco un altro paio di casi.

La legge italiana stabilisce che un minore di sedici anni non possa riconoscere il figlio. Giusto o sbagliato? Quel che importa è che questa legge non è mai stata criticata da nessuno e non sono mai state presentate proposte per modificarla.i Accade però che essa trovi applicazione quando una quattordicenne partorisce (cioè precisamente nell’occasione per la quale è stata emanata) ed è allora che si scopre inorriditi che la legge vieta alla madre di riconoscere quel figlio che la natura le ha comunque permesso di mettere al mondo. Da dove proverrà quella che adesso viene bollata come mostruosità giuridica?

Si sa che la legge non tutela le c. d. ‘ragioni della turpitudine’ perciò non posso adire vie legali per farmi dare la mia parte di un bottino o anche solo per esigere un credito di gioco, ma quando una prostituta viene pagata con un assegno scoperto, e non può farci nulla, si scopre inorriditi che la legge tutela doppiamente puttanieri e schiavisti. Tutte quelle leggi che tutti approvano, comprese quelle che il femminismo stesso ha imposto di emanare, vanno condannate come maschiliste quando si scopre che la loro applicazione limita i diritti immaginari delle donne o riduce gli obblighi e le pene degli uomini. 

Di questa regola occulta si possono dare infiniti esempi, ma poiché le leggi reinventate e le “scandalose sentenze choc” non sono contestabili e la strumentalità del processo non è denunciabile se non attraverso tediosi viaggi nei meandri dei tecnicismi giuridici è necessario fermarsi. Quel che conta è la chiarificazione delle finalità del processo e del metodo adottato: la criminalizzazione degli uomini perseguita attraverso la più solare menzogna, la più sprezzante e candida slealtà, cuore e mente della GNF, questa verità randagia che da mezzo secolo, muso al suolo, fiuta le piste della malvagità maschile e quando non le trova le inventa perché sa bene che di questa viltà non renderà conto a nessuno.

i Art. 250 del Codice Civile.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Paradossalmente sono proprio le femministe a voler discriminare il reato commesso in base al sesso della vittima.
In questo caso, l'assecondare una richiesta femminista ha avuto le conseguenze antifemminili evidenziate.
Il tentativo di colpevolizzare gli uomini (e le donne) che, per amor del quieto vivere, approvano una legge scritta da femministe è senza senso.
Sul riconoscimento dei figli, ci sarebbe molto da dire.
Se il sedicenne maschio non può riconoscere il figlio, non vedo perché lo debba poter riconoscere la madre della stessa età. Evidentemente si tratta di una questione di maturità e non di sesso. Avere un figlio a sedici anni è, di per se, evidenza di immaturità.
Tuttavia le questioni più gravi sono altre e nessuno sembra volersene accorgere. Una donna resta incinta e può abortire senza dover nemmeno informare il/i presunto/i padre/i. Del resto, la legge sull'aborto non prevede alcun coinvolgimento del padre. Il padre non può suggerire di salvare la vita di suo figlio e nemmeno proporre il proseguimento della gravidanza contando sull'affido del bimbo dopo l'abbandono in ospedale alla nascita. Di contro, un uomo che non volesse un figlio, sarebbe comunque tenuto al suo mantenimento.
Lei conclude confrontando i tentativi di purificare le regole da criteri sessisti ad un clima da caccia alle streghe.
In realtà, penso siano proprio tali arroccamenti ad allontanare la condizione di giustizia, equilibrio e parità che dobbiamo per forza raggiungere.

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