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3.2b.6 Rischi legali

I rischi per la salute e la vita rappresentano solamente una parte di quelli corsi dagli uomini, l’altra è costituita da quelli civili e penali che, all’apparenza, non dovrebbero figurarvi giacché si assume che dopotutto si finisca nei guai per propria colpa, colpa che non può certo essere trasformata in merito. Ragionevole considerazione, sennonché le scrivanie non esplodono, le sedie non deragliano e quando non si ha nessuno del cui operato rispondere, non si risponde di nessuno. Negligenza e imperizia non provocano danni colposi quando non si maneggiano energie e, quanto al dolo, non si cade in tentazione se non quando si è nelle condizioni di subirla. Per una casalinga, un’impiegata o un’infermiera è facile essere onesta, per un capitano d’impresa, un dirigente o un uomo politico l’onestà è invece un titolo messo ogni giorno a dura prova.

Non vi è dubbio che siano ambizione, fame di denaro e sete di potere a spingere gli uomini ad infrangere le leggi, ma quale sia il contributo delle loro congiunte, quale e di che peso sia la pressione delle partner nello spingere i maschi all’illegalità pur di avere di più e sempre di più, è un fatto che deve ancora essere raccontato e che gli uomini certo racconteranno quando le loro parole avranno smesso di essere dichiarate false. Resta però inconfutabile verità che i proventi delle attività illecite, dei falsi in bilancio, delle truffe, delle frodi e delle tangenti finiscono tanto nelle tasche dei mariti quanto in quelle delle mogli. Il reato arricchisce entrambi ma in tribunale ci va uno solo. Tutti i tangentopolisti d’Italia avevano mogli o amanti che beneficiarono delle illegalità dei partner, delle stesse ville e delle stesse barche (oltreché di qualche gioiello in più), nondimeno non si mancò di segnalare la disonestà maschile a fronte della probità femminile allorché la moglie di uno di essi, “disgustata”, prese la borsa delle tangenti e ne gettò il contenuto dalla finestra. E’ facile essere onesti quando non si può essere disonesti. 
 
Due coniugi gestivano insieme un’azienda di commercio ortofrutticolo, lei, a capo del settore amministrativo, lavorava formalmente come dipendente, lui ne era titolare. Si scoprì che la ditta aveva corrotto i responsabili degli acquisti di alcune caserme del Nordest e l’uomo finì in prigione. I benefici di anni di corruzione equamente divisi, la pena per il reato a carico di lui. Così, mentre quello passava i suoi giorni in prigione, la moglie “ignara di tutto” (e, chissà, forse persino “disgustata”) continuava a vivere nella villa costruita con gli illeciti guadagni del marito. Del marito o di entrambi? Di entrambi, giura la GNF, per la quale il lavoro delle donne quando non è gratuito è svalutato e negletto. Entrambi hanno lavorato ed entrambi hanno guadagnato la medesima cifra ma la contabilità dice che il titolare ha incassato milioni, mentre lei, dipendente, solo poche decine di migliaia di euro. La donna dunque vi figura sottopagata e perciò sfruttata, priva di potere e perciò subordinata. Sul maschio, oltre alla responsabilità civile e penale, cade l’accusa di sfruttatore, alla moglie, oltre al beneficio dell’irresponsabilità, va il titolo di vittima.

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