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4.3b.4 Cavalieri intelligenti

Tra i miei amici ve n’è uno il cui raffinato intelletto e la cui squisita sensibilità lo fanno spiccare sugli altri. Egli si rivolge alle donne con una finezza e una classe tali che varrebbe la pena nascere femmina non fosse altro che per essere destinatari dei suoi complimenti, la cui eleganza e la cui compostezza (anche quando sono birichini) incantano chiunque li ascolti. Un giorno, dopo aver ragionato con lui delle doti, delle qualità e delle capacità specifiche delle donne che si aggiungono alle loro persino eccessive attrattive ed esserci trovati d’accordo sull’impossibilità stessa di concepire un mondo privo del loro fascino, delle loro qualità e della loro complessiva bellezza, esterna ed interna, mi disse: “Vedi che ci troviamo d’accordo su tutto! E perché allora c’è chi gli sta facendo la guerra?!”. Quest’uomo, di impareggiabile cortesia nei confronti delle donne, sempre pronto a giustificare ogni sbavatura del loro comportamento, si vergogna al solo sentire che ci sono uomini che “hanno incominciato a muovere guerra alle donne”, è in questo modo infatti che questi Cavalieri ingenui percepiscono ogni azione diretta alla loro autodifesa. Benché non tutti gli uomini siano delicati come costui, resta pur sempre vero che è la vergogna la causa di quell’eterno tacere di fronte al triplice ‘pushing’. Uomini che odiano le donne non mancano, gente che disprezza il genere femminile ce n’è ma tanto questi (i cattivi) quanto quelli (i buoni) tutti sono paralizzati dalla vergogna di difendersi; gli uni perché vincolati dall’amore e gli altri in quanto preda dell’odio, tutti sentono come disonorevole il “prendere le armi contro le donne”. 

Ma mentre è impossibile che i misogini smettano di esser tali, con ciò restando per sempre incapaci di assumere la propria autodifesa, i Cavalieri possono invece uscire dal loro ingenuo incanto. Prospettiva provocatoria ed oltraggiosa che costoro rifiutano finanche di prendere in considerazione proprio in quanto tali ed ai cui occhi l’idea stessa appare riprovevole e disonorante. Il fatto è che la Cavalleria nasconde una presunzione il cui abbandono apre agli uomini la possibilità di trasformarsi da Cavalieri Ingenui, quali sono, in Cavalieri Intelligenti. Il Cavalierato maschile si fonda sulla presunzione che le donne siano deboli, incapaci di nuocere, impossibilitate a diventare maramalde; se invece gli uomini fossero convinti di questa possibilità diventerebbero molto più prudenti. 

Il femminismo denuncia come originata dalla presunzione della propria superiorità quella Cavalleria che gli uomini continuano a considerare fonte di onore benché da decenni venga dileggiata e vilipesa.i E’ vero che le donne ne hanno tratto e ne traggono immensi benefici e che il femminismo stesso senza di essa sarebbe morto sul nascere, nondimeno quella denuncia contiene una verità innegabile: solo chi si sente più forte dell’altro pratica la Cavalleria nei confronti di quest’ultimo. Ora, non si può pretendere che un Cavaliere smetta veramente di esser tale, che gli uomini occidentali gettino via questo gioiello, quel che debbono fare è conservare questa ricchezza in silenzio per trasmetterla alle generazioni che verranno, ma trasformarsi al tempo stesso da Cavalieri Ingenui in Cavalieri Intelligenti, quelli che sanno che dall’altra parte non può venire alcuna Cavalleria. Devono riconoscere, disincantati, che quelle creature “…hanno fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà”.ii L’età del Cavalierato ingenuo è dunque finita, conclusione amara che quell’uomo, prigioniero del suo cuore cortese, non accetterà mai, perciò la potenza del femminismo continuerà ad espandersi e lo farà in forza di quel valore che pur tanto disprezza e di cui vuole la scomparsa dal mondo, giacché si è sempre portati ad odiare ciò che non si capisce e di cui non si è all’altezza.

i E. Gianini Belotti, Prima le donne e i bambini, op. cit.
ii N. Machiavelli, Il Principe, XVIII, 1.

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